lunedì 29 aprile 2013

Edificio 17A - Cose che ricordo del passato 12




I calzoncini corti li ho portati fino alla seconda media. Un compagno di classe, quando salivamo le scale, si metteva dietro di me. Ogni tanto si divertiva a farmi notare i lunghi peli che avevo dietro le cosce. E li tirava, facendomi anche male. Non so come, un giorno decisero di farmi indossare un paio di pantaloni di mio padre. Furono il mio primo pantalone da adulto. Smisi i calzoncini corti. Ero cresciuto, mi dicevo. Il compagno di classe non ebbe più modo di misurare la crescita dei miei peli. Credo che un po' gli dispiacesse.

La pastina con il dado della zia Mariuccia, sposata con mio zio Sarino. Due bambine. Tiravano avanti con il magro stipendio di mio zio. Risparmiavano su tutto. Facevano una vita molto modesta. Spesso per cena faceva la pastina con il dado. Dado che era già un lusso. Ma la felicità e la serenità che si respirava in quella casa l'ho vista raramente. E quella pastina per me diventava un concentrato di sensazioni. Compreso il bacio con lo schiocco che dava mia zia a suo marito, accompagnato sempre dall'espressione: ”Che beddu me maritu”

Il cliente strano. Me lo aveva annunciato l'ex proprietario dell'edicola che avevo comprato. Mi accompagnava nella conoscenza dei suoi ex clienti che sarebbero diventati i miei. Mi indicava le preferenze descrivendoli anche fisicamente. C'erano quelli ai quali mettere da parte tutte le riviste di auto. O di barche. A chi il Sorrisi e Canzoni. E poi due che cercavano fumetti. Uno che lavorava in banca e passava la mattina. L'altro passava con la bici e uno zaino. Anche lui cercava fumetti.
E' strano,” mi disse l'ex edicolante. “Li guarda da tutte le parti. Non sempre prende quello che gli conservo”.
Maurizio: il cliente strano. Cominciò a chiacchierare con me. Stupito che amassi i fumetti quanto lui. Le sue soste diventarono giorno dopo giorno sempre più lunghe. Dopo giorni di ripesamenti, tirò fuori il nome del negozio. Un giorno arrivò deciso e mi disse “Ho il nome: Altroquando.”

La nafta che si infiltrava nei pori di mio padre. Grasso di motore o qualsiasi altra porcheria fosse gli macchiava il dorso delle mani. Mio padre lavorava nell'officina di una ditta di corriere, e la sera tornava a casa con i pori pieni di quella robaccia. Teneva le mani dentro una bacinella con dell'acqua calda. Lasciava ammorbidire per un bel po'. Poi, pazientemente... spremendo, faceva uscire quei vermicelli neri.


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