mercoledì 31 luglio 2013

Edificio 17A – Chi è Piero?





Ma davvero lo faresti?”
Disse di sì, fissando l'appuntamento al sabato successivo.
Mi procuro tutta l'attrezzatura necessaria e ci vediamo sabato.”
Avevo bisogno di una bacinella per i piedi. Il nostro Filippo ne ha portata una blu. Capiente abbastanza.
Con questo caldo portavo ancora le calze. Per coprire la vergogna. Avete idea di cosa vuol dire stare quattro e più mesi senza tagliarsi le unghia dei piedi? Io, causa la colostomia, ma non solo, non riesco più a piegarmi per farlo da me. Quindi ci voleva Piero. Chi è Piero? Un amico caduto dal cielo. Colmo di compassione perché lui c'è già passato. Più volte messo alla prova fin da piccolo. Uscitone uomo compassionevole. Piedi in acqua calda con bicarbonato. Così cerchiamo di ammorbidire queste corna dure. Lui, intanto, tira fuori un armamentario con forbicine, tronchesse, tagliaunghie, limetta, tronchessa piatta. E tanto altro. Piano piano abbiamo riempito di scaglie tutta la stanza. Facciamo diverse pause, la stanchezza è reciproca. Il lavoro è sporco e duro. In verità più duro che sporco. Passa il personale delle pulizie. Pulisce quello che può. Ci prendiamo la pausa pranzo. Io mangio le cose passate dall'ospedale. Piero un kebab che ha portato anche per me e Filippo. Dopo la pausa pranzo: di nuovo piedi in ammollo e ultima ripassata. Meno male che è durata poco. A questo punto ero veramente stanco. Ci siamo messi a chiacchierare. Poi è dovuto andare via. Non prima di darci un prolungato abbraccio. Minimo atto di riconoscenza. Al nostro piccolo grande uomo.

Grazie Piero.

martedì 30 luglio 2013

Edificio 17A – Sogni nel cassetto


Sì, viaggiare. Affacciato alla finestra. Rivedo i sogni di viaggi. Machu Picchu, era uno dei miei sogni nel cassetto. Però più andavo avanti con l'età, più si allontanava la possibilità di andarci. Duemilaquattrocento metri sul mare. Tolgono letteralmente il respiro. Niente Machu Picchu questa volta.
La piramide di Cheope con i suoi misteri. Davanti a me una spianata di sabbia e in fondo, lei. Questo monumento, sfida e mistero. Sul quale ha vissuto per anni la misteriosa trasmissione Voyager. Ma potrei sopportare il caldo? I viaggi attraverso il deserto? Naaa... morirei.
Mete ormai troppo estreme per me. Devo considerare anche che io sono cambiato. Gente, si cambia e ce ne accorgiamo troppo tardi. Ripeto. Si cambia e non ci facciamo caso. C'è ne accorgiamo troppo tardi. Allora sai che faccio? Adeguo i miei sogni.
Altro sogno: un viaggio in roulotte. Questo mezzo insieme alla moto mi hanno dato sempre l'idea di libertà. Del poter decidere dove e quando andare e fermarsi. In montagna o al mare. Non avrebbe avuto importanza. Certo in tutti e due i posti sarebbe stato l'ideale. Ma... io non guido, tanto meno Filippo. Quindi ci vorrebbe un autista. Ma anche questa ipotesi sarebbe difficile da mettere in pratica.

Difficile sognare, adesso. Poi tutti i sogni posti nei cassetti sanno di muffa, non ve ne siete accorti?

lunedì 29 luglio 2013

Edificio 17A – Lettera a Maria Eugenia



Oggi secondo giorno senza febbre. Mi verrebbe d'esultare, ma non ho abbastanza forze per danzare. Dormito abbastanza bene. Considerando che la cena è stata leggera: pasta con le sarde e finocchietto. Opera delle carissime amiche Isa e Stefania. Stefania mi ha cazziato giustamente perchè non l'ho citata nei ringraziamenti per la pasta scritti su facebook.
Pensi che la stia prendendo alla lontana per risponderti? Sono entrato in una visione della vita nella quale vedo il bene e il male inseparabili. Fanno parte della stessa vita. Noi dobbiamo tendere al bene sempre, e combattere il male. Ma le battaglie non sono mai definitive. Qui, dove adesso sono ricoverato, è un modello di come potrebbe essere la degenza. Sembra una cosa speciale, quando dovrebbe essere la norma. Anche qui naturalmente ci sono aspetti migliorabili. Come sempre. Anche a me quest'anno le foto postate su facebook di chi faceva il bagno a maggio a Mondello hanno dato particolarmente fastidio. Ma penso sia da parte mia più invidia che altro. Io vivevo e combattevo la malasanità. Impossibilitato a potermi anche solo bagnarmi i piedi nell'acqua di mare. C'è chi combatte e chi si gode la vita. Ecco, penso che abbiamo ruoli diversi nella vita. Certo, scambiarseli ogni tanto è bello. Non andavo a Mondello, però mi prendevo il mio spazio vitale. Tutte le mattine fino ad un anno fa circa andavo sul lungomare per sentirmi fotografo. Aspettavo il sole. Appena spuntava lo fotografavo. E mi sentivo fotografo. Appena tornavo in negozio sceglievo una fra tutte le foto scattate e la pubblicavo su facebook. Non è simile a chi pubblica le foto di Mondello? Ognuno penso vada avanti con un bagaglio e delle armi. Tutto dipende da cosa ti porti nel bagaglio e dell'uso che fai delle armi.
Un abbraccio

domenica 28 luglio 2013

Edificio 17A – Salvo, l'infermiere.






Oggi la giornata è iniziata bene. Soprattutto per l'assenza di febbre. Deciso a fare la doccia. Nello stesso tempo si apre il sacchetto della colostomia. No, non vi racconto i particolari. Alla fine mi sono asciugato, e attacco un nuovo sacchetto. Dopo aver svolto le piccole cose, finalmente mi sono rilassato. Sto un poco davanti al computer. Quindi una sigaretta affacciato alla finestra. Dove, sigaretta dopo sigaretta, mi sto anche abbronzando. Qui il palazzo ha una esposizione tale che il sole lo vediamo dall'alba fino alle tre del pomeriggio. Mentre fumavo sentivo una sensazione di bagnato vicino l'ombelico. Tocco, effettivamente qualcosa non va. Cambiata da nemmeno due ore e già viene via. Questi sacchetti non sono il massimo. Si staccano con notevole facilità. Inoltre ho difficoltà a posizionarli. Che fare? Mi decido ad alzarmi dal letto, dove mi ero sdraiato in attesa di decidere cosa fare. Apro la porta della stanza e vedo Salvo, un infermiere. Gli chiedo se può darmi una mano. Mi dice di sì. Dopo un poco arriva. Mi propone di cambiare la sacca, convenendo con me che quelle che usavo non erano proprio il massimo. Finito il lavoro mi dice:
Un artista. Proprio un lavoro d'artista. D'altronde questo sono. Vero. Fino a poco tempo fa lavoravo con un'impresa e facevo mosaici. Tutt'ora, quando ho tempo, li faccio a casa, ma per me. Certo, adesso sono più piccoli di quelli che facevo prima.”
Lui, ha cinquantacinque anni, occhi chiari. Molto simpatico. I suoi occhi s'illuminano quando parla dei suoi lavori.
Dove posso vederli?” Gli chiedo.
Mi ha promesso che al prossimo turno mi porterà un catalogo dei suoi lavori.
Mi piace scoprire il lato nascosto delle persone. Il lato artistico che mettiamo da parte. Mi viene da dire che adesso Salvo è più persona.






sabato 27 luglio 2013

Edificio 17A – Ilde



Edificio 17A – Ilde
Ilde. Ricordate Ilde? Non quella che nel buio suonava la cetra* . Da diversi giorni non la vedevo. Vero è che vado di rado nella zona fumatori. Preferisco fumare affacciato alla finestra della mia stanza. Oggi ho voluto chiedere agli infermieri. Mi hanno detto che il marito è stato portato in una clinica. Il marito, ottantaquattro anni, trasportato in una clinica? Una delle ultime volte che ho incontrato Ilde, le avevo chiesto notizie del marito. Mi aveva fatto capire che non ne aveva per molto. Sicura della morte imminente del marito, la affrontava con enorme dignità.

Credo che gli infermieri abbiano mentito. Qualcuno ha paura quando la morte è così vicina.





La H nella mia Ilde non so ci sia o meno.

venerdì 26 luglio 2013

Edificio 17A - Cose che ricordo del passato 36





Paolo, Gianfranco ed io eravamo stati emarginati in via De Castillia. Per me e Paolo una punizione per allontanarci e isolarci dalla Comunità. Viste le nostre idee non in linea con tutto il gruppo. Eravamo già da molti mesi al lavoro come obiettori al servizio militare con don Gino. L'allontanamento non ci scoraggiò. Iniziammo coinvolgendo alcuni ragazzi della Comunità. Cercando di insegnare loro quello che noi avevamo imparato da poco. Facevamo lavori in pelle. Fermacapelli, cinture, borse e altre cento cose. Poi si cercava di venderle. Paolo aveva molta creatività. Inventava modelli nuovi e poi ce li proponeva. Per rifarli.
Alla fine del servizio civile, a Paolo rimase una valigia fatta da lui. Sembrava una di quelle borse da viaggio usata spesso nei film western. A me rimase un borsello molto semplice e un paio di cinture per i pantaloni. Il tutto usato per diversi anni. Piccoli e unici souvenir.


Veniva quasi tutti i giorni in negozio. Prendevamo il caffè insieme. Lui mi confidava i suoi problemi con la moglie. E anche altro. Un omone con un animo gentile. In cerca di affetto. Torturato dalla sua fede cattolica. Avrebbe lasciato la moglie, ma per la sua fede il matrimonio era indissolubile. Quindi rifiutava di potersi rifare una vita, magari meno infelice. Un giorno mi confido che visto che con la moglie non faceva sesso da mesi, era stato con una prostituta. E si era beccato le piattole. Timidissimo, mi chiese se potevo comprargli il Mom in farmacia. Lui si vergognava. Non solo, ma volle che fossi io a passargli la polvere. Lo portai a casa mia. Lo feci spogliare completamente. Misi sotto i suoi piedi dei giornali per evitare di sporcare e lo cosparsi di Mom. Sì, lui mi piaceva e dovetti trattenermi dal fargli delle avances. Mi accontentai, per “rispetto” di accarezzarlo con la scusa di spargere meglio l'antipiattole. Lui appariva inerme come un bambino. E mi lasciava fare. La storia si ripeté fino alla completa scomparsa delle piattole. Con me, che pur toccandolo dappertutto mi trattenevo dall'andare oltre.
A distanza di molti mesi mi confessò che sì, si aspettava che io andassi oltre. Che sì, avrebbe gradito la cosa.
Ma vaffanculo.



Facevamo entrambi parte del Partito Radicale. Era la fine degli anni settanta, si raccoglievano le firme. Non ricordo esattamente per quali referendum. Periodicamente proponevamo una raccolta di firme. Al tavolino per la raccolta posto sotto i portici di via Ruggero Settimo eravamo in parecchi. Lina mi propose di andare con lei. Non sapevo la destinazione né lei mi disse nulla a riguardo. Comprò dei fiori, rose rosse. Alla fine, arrivati davanti a una chiesa, mi invita ad entrare. Pensavo scherzasse o volesse mostrarmi qualcosa di particolare. Invece no. Quel giorno era dedicato a Santa Rita. La santa dei miracoli impossibili. Lei era lì per partecipare alla messa. E farsi benedire le rose che poi avrebbe appeso a testa in giù per farle seccare. Alla fine le avrebbe riposte in un cassetto. Lei uscì dalla chiesa felice, io pensavo a come certe tradizioni tribali venivano tramandate.



Ho un amico carissimo. Lo ammiro e rispetto qualsiasi cosa faccia. Perché ho fiducia in lui. Non è perfetto. Forse rappresenta il caos e la libertà coniugati insieme. Capace ad una cena in una trattoria con amici di uscire per fumare una sigaretta e sparire. E tutti i commensali guardandosi negli occhi, senza parlare, decidono di dividersi la sua quota. Tempo fa abitava in una casa occupata. Definirla casa è una parola grossa. Un posto dove viveva, suona meglio. In alcune stanze mancava il tetto, e si vedeva il cielo. Il posto era pieno di vasi di ogni genere. Da quelli di terracotta alle bagnine di plastica. Vi coltivava canapa. L'odore si sentiva ovunque e ti avvolgeva. Il suo piccolo commercio. Le piante erano splendide e pronte al raccolto.
A lui, senza mezzi di trasporto, basta andare in taverna. Lì, fra una bevuta e l'altra, trova qualcuno che lo porta in auto anche dall'altra parte della città.
Insopportabile quando si presenta fatto. Diventa troppo 'mpiccicusu. Ti si attacca addosso come bava, e comincia a chiederti se gli vuoi bene. E parla, parla, parla... senza freno. Con la bocca secca e impastata, ma lui continua. Poi chiede da bere acqua. Oppure vuole offerto un caffè. Nessuno di noi, quando è in questo stato, lo sopporta. Lo trattiamo male, ma lui quasi non sente quello che gli diciamo.
Quando è sobrio diventa una persona disponibile. Pronto a darti una mano per qualsiasi cosa. O ti offre un giummiddu da fumare. Ma non è per questo che parlo così di lui...
Però, se mi leggi, anche se sono qui, non rifiuterei un tuo dono.


giovedì 25 luglio 2013

Edificio 17A – Caos


Sono per il caos.
Non che non mi piaccia l'ordine, ma io sono caratterialmente per la confusione. All'inizio cerco di essere sistemato. Ogni cosa al suo posto e un posto per ogni cosa. Poi, piano piano comincio a scivolare. Con tutte le buone intenzioni di sistemare le cose. Invece scivolo sempre di più. E' più forte di me.
In fondo, però, mi ci ritrovo nel caos. E' quello che ti permette, mentre cerchi qualcosa, di trovarne un'altra che avevi smesso di cercare da tempo. C'è chi si sente impazzire in questo mio mondo. Per certi versi lo capisco. Invidio il suo amore per l'ordine. Ma con tutta la mia buona volontà non c'è la faccio a vivere a lungo in spazi troppo ordinati.
Qui nella mia stanza c'è un tavolino che ho trasformato nella mia postazione computer. Non sono ai livelli raggiunti a casa. Qui, comunque, ho ricreato in piccolo il mio caos personale. Sul tavolino oltre il computer c'è di tutto. Cellulare, sigarette, accendino, due macchine fotografiche... foglietti sparsi, uno con sopra scritto un appunto, ma che non trovo più, una bottiglia d'acqua, un bicchiere, fazzoletti di carta, la bustina dei fazzoletti vuota imbottita con quelli sporchi, la mia borsa, una campana buddista, un altro accendino, delle forbicine, un flacone di Mycostatin, delle monete da cinquanta centesimi.


Mia nonna diceva: “A natura è natura, e a natura un si po' canciari.

mercoledì 24 luglio 2013

Edificio 17A – Giuseppe


Anche questa mattina mi sono svegliato con la febbre. Ormai sembra sia diventata una consuetudine. Oggi siamo arrivati a trentanove. Acqua, bevuta a letto con la cannuccia. Poi ricordo che c'è del gelato al limone. Meglio dell'acqua. Il paracetamolo fa lentamente il suo effetto. Comincio a sudare e la febbre va scemando. Giuseppe, un infermiere, mi ha detto che dobbiamo cambiare il catetere. Lo dovevamo fare ieri, ma abbiamo rimandato a questa mattina. Recuperate un poco le forze, decido di fare una passeggiata lungo il corridoio che conduce all'uscita. Incontro Giuseppe. Mi chiede se può offrirmi un caffè. Naturalmente accetto. Ci sediamo nel soggiorno, ci dividiamo il caffè. Facciamo quattro chiacchiere. Mi dice che lo ha divertito vedermi rifiutare di ricevere una suora che voleva darmi un'immaginetta della madonnina. Inoltre è rimasto colpito dal fatto che gli ho detto che mi sono sbattezzato. Non conosceva nemmeno l'esistenza di questa possibilità. Abbiamo parlato di come affrontare la malattia. Come sia importante la qualità della vita, più della vita stessa. Penso che sia una verità da tenere sempre presente. Anche i rapporti interpersonali fra malato e personale sanitario sono molto importanti. E Giuseppe ha compreso questo.
Dopo il caffè e lo scambio di opinioni il rapporto con Giuseppe è cambiato. Mi ha sostituito il catetere e io gli ho dato un mio biglietto da visita con l'indirizzo del mio blog.
Mi comunicano che il Targin, una delle medicine che prendo, lo hanno richiesto alla farmacia, ma non è ancora arrivato. Mi chiedono se io ne ho. Quando porto la risposta trovo Giuseppe nel soggiorno degli infermieri insieme ad altri due colleghi e il dottore di turno. Attorno al tavolo stanno mangiando pane con le panelle. Visto che i panini non mancavano, mi hanno chiesto se ne accettavo mezzo. Potevo dire di no? Prima di tutto perché offerto da loro era un segnale forte. Quasi commovente. E poi, un panino con le panelle... come si fa a dire no?

Ho paura di cominciare a sentirmi a casa. 

martedì 23 luglio 2013

Edificio 17A – Effetti collaterali



Piccoli effetti collaterali sono l'inizio delle piaghe da decubito. Sul fianco, e sul malleolo (l'ossu pizziddu per me, ho dovuto chiedere per scoprire il suo nome). Quindi ho chiesto se si poteva avere il materasso antidecubito. Il giorno dopo la mia richiesta è arrivato. Dopo pranzo mi sono steso per fare un pisolino. Sono trascorsi una decina di minuti, quindi ho iniziato a sentire dentro il materasso degli strani movimenti. Come se vi si muovessero degli animaletti. Ho subito pensato a dei piccoli topi. Non potevano essere che topi. Ero talmente convinto che sono stato sul punto di alzarmi per andare a protestare. Pensavo mi avessero dato un letto infestato da sorci. Poi piano piano realizzo la verità. Era aria, che si muoveva adattando il materasso al peso esercitato su di esso. Comunque il materasso sembra davvero che respiri. Sembra quasi che abbia vita propria. Lui periodicamente emette un sbuffo. Anche se sul letto non c'è nessuno. I primi giorni tutta questa storia mi dava fastidio. Ma mi vado abituando e la cosa diventa quasi piacevole. Sentire scorrere l'aria, come fossero piccoli animali che si rincorrono ai bordi del corpo è rilassante.
Solo perché non sono veri topi.


lunedì 22 luglio 2013

Edificio 17A – E che doccia sia


Parlo sempre di doccia. Come fosse un obbiettivo difficilissimo. Da giorni ho la febbre che va e viene. Alle volte arrivando a superare i trentotto e mezzo. In questi casi non riesco a far nulla. Le forze spariscono. Resta la volontà di voler fare senza riuscirci. Penso di alzarmi, ma rimando continuamente. Speravo, oggi, domenica, di poter fare una doccia dopo diversi giorni che non ci riuscivo. Mi sono svegliato carico. Ho fatto colazione. Ho preso la solita dose di pillole. Poi ho cominciato a sentire freddo, quando fuori c'era un sole caldissimo. Ho chiesto a un infermiere di misurarmi la temperatura. Trentasei e mezzo. Ma io sentivo lo stesso freddo. Mi sono messo a letto coprendomi con il lenzuolo. L'infermiere è tornato e mi ha misurato di nuovo la temperatura. Trentotto. Ho subito pensato che anche per oggi saltava la doccia. Dopo aver preso la pillola di paracetamolo è iniziata una breve sudata. La febbre è scesa. Mi sono alzato e mi sono messo davanti al computer a cazzeggiare. Poi, il disastro. Mi si e staccata la placca della colostomia e mi sono smerdato tutto. Più cercavo di porre rimedio più mi sporcavo. Così mi sono deciso. Mi sono spogliato e mi sono messo sotto la doccia. Con una leggera difficoltà sono riuscito a lavarmi. Nel frattempo è arrivato Filippo ad aiutarmi. Mentre io finivo di sistemarmi, cambiando il sacchetto della colostomia e vestendomi, lui puliva nel bagno tutto ciò che avevo sporcato. E non era poco.
Alla fine, desiderio realizzato. Finalmente sono riuscito comunque a fare la doccia.

Buona domenica.

sabato 20 luglio 2013

Edificio 17A – L'orizzonte




Lessi “Il deserto dei tartari” di Dino Buzzati, moltissimi anni fa. Mi sono rimasti in mente il tenente Drogo e la sua destinazione, la fortezza Bastiani. E quei nemici, attesi una vita e che arriveranno troppo tardi.
Qui il nulla all'orizzonte è identico. Si passano le giornate a osservare quello che c'è fuori senza rilevare nulla di interessante. Se non contiamo la vista dell'obitorio e il cimitero un po' più in là. Nell'obitorio, essendo il più vicino, noto sempre un ininterrotto via vai. Persone che vanno e vengono. Qualcuno con dei mazzi di fiori in mano.
All'orizzonte comunque non si avvistano nemici, e il deserto dei tartari si spiana davanti a me quasi come una sfida. Forse la vera sfida non sono i nemici, ma la solitudine. Da colmare con storie di battaglie passate e di quelle che mi aspettano. Le prime riesco a raccontarle, le altre sono fantasie, spesso dovute al delirio della febbre.
Ricordo la copertina dell'Oscar Mondadori del volume. Una divisa completa di berretto ma senza volto. Dietro, il deserto. Non ricordo di chi fosse la copertina, secondo me azzeccatissima. Perché siamo tutti un po' il tenente Drogo, e viviamo tutti nella fortezza Bastiani. Tutti di vedetta, in attesa dell'avanzata dei nemici. Alla fine innamorati di questo silenzio. Di questa attesa. Di questa vita.









giovedì 18 luglio 2013

Edificio 17A - Cose che ricordo del passato 35





Lui era vittima di chiara discriminazione. Sessualmente gradiva le persone anziane. Nella cerchia delle nostre amicizie, tutti amanti dei ragazzi giovani e palestrati, era quasi un'offesa avere preferenze diverse. Fortunatamente lui ci rideva su. Anzi, spesso quando facevamo delle passeggiate, lui indicava una persona e diceva:
Miiiì, che bono!”
Schifiu!” Rispondeva puntualmente chi era con lui.
Io cercavo di spiegare che si possono avere gusti alternativi al giovane tutto proporzionato. Che anche da vecchi possiamo trovare nostri estimatori.
Niente da fare. Fra l'altro ogni volta che lui esclamava il suo: “Miii, che bono,” tutti si giravano a guardare a chi era rivolto il complimento. Per pentirsene subito dopo. Tutte le volte.



Bambini chiusi in bagno. Io e la cuginetta che abitava due piani sotto. Lei spesso frequentava casa nostra. Non so come ci siamo ritrovati chiusi noi due in bagno. Lei era già una bambina intraprendente. Ricordo che volle mostrarmela. Si alzò il gonnellina e abbassò le mutandine. E me la svelò. Non capii bene come fosse combinata la storia lì sotto. Di sicuro era strana. Di sicuro non mi piacque. Di sicuro una delle poche che ho visto.



Il film “La caduta degli dei” di Visconti era vietato ai minori di diciotto anni. Era il sessantotto, e io non avevo ancora compiuto i diciassette. Ci andai insieme a un ragazzo di vent'anni che lavorava come cameriere nel mio stesso albergo. A lui chiesero la tessera, e lasciarono passare me senza batter ciglio. Da sempre appaio più grande dell'età che ho. Forse è stato questo che mi ha preparato alla vecchiaia.




Avrò avuto undici anni. La mattina a scuola, di pomeriggio da Mimmo 'u varvieri. Quando mi ritiravo, la sera, spesso passavo davanti un garage di autobus. Una sera notai uno di questi autobus con la porta anteriore aperta. Salii e iniziare a giocare fantasticando di guidarlo. La storia si ripeté per più sere. Per sbaglio una volta accesi i fari. Accorse un guardiano del garage. Io scappai con il cuore in gola e quell'uomo alle mie spalle. Entrai nel portone di casa, salii i gradini a tre a tre. Noi abitavamo al quarto piano. Arrivato davanti la porta di casa non suonai. Mi appoggiai al muro sperando non si sentisse il mio cuore. Quello salì la prima rampa poi rinunciò. Dopo aver sentito chiudere il portone cominciai a rilassarmi. Aspettai un poco prima di suonare. Non volevo apparire troppo sconvolto.

mercoledì 17 luglio 2013

Edificio 17A – “Se ne è andato”



Come frutta matura che cade dall'albero. Oggi due. Uno annunciato con urla strazianti. Chiamando:
Papà, papà...”
Come se lo si potesse riportare in vita. Diversi pianti più o meno forti.
Una bambina fra loro che imita gli adulti. Anche lei con un fazzolettino in mano ad asciugarsi le lacrime.
Qualcuno dice alla madre di allontanarla:
E dove la porto?”
Mi chiudo nella mia stanza. Per pudore. Il dolore del lutto, merita il pudore. Non si può star lì ad osservare le persone straziate dall'interno.
Probabilmente lui ha finito di soffrire, e il suo essere qui probabilmente alleggeriva i parenti.
Ora si fanno i conti. L'onoranza funebre già arrivata e pattuito il prezzo. Duemila euro. Mille subito, gli altri successivamente.
E chi ce li ha mille euro?”
I pianti scemano. C'è da fare il conto. Si cerca di avere un minimo di lucidità. Tutto verrà risolto.
Poi il silenzio. E una stanza vuota.
Anzi due.


lunedì 15 luglio 2013

Edificio 17A – La facciamo questa doccia?



Non ho la forza di far nulla. Vorrei farmi una doccia ma ci penso da una mattina. Niente... già accorciarmi la barba mi è sembrata una faticaccia. Allora nulla, che faccio? Non posso infognarmi in facebook. Allora? Scrivo. Qui lo stare soli è ancora più... stare soli. Filippo va e viene. Mille cose da sbrigare fuori. Poi io e Salvatore. Ci incontriamo come non succedeva dai tempi dell'analisi. Va', ci andiamo conoscendo sempre più. Sempre più in profondità. Certo non posso raccontarvi tutto, ma la mente si fa agevolmente, nel silenzio, i suoi lunghi viaggi. Pochi rimpianti, comunque. Abbastanza soddisfatto a conti fatti. Scoprire i propri comportamenti profondi da accondiscendente. Il fuoco per la vita e un ideale immortale. Per non perdermi. Un po' di fortuna mi ha sempre accompagnato, per quanto ne fossi inconsapevole, inseguendo piccoli rivoli che mi sembravano più interessanti dei grandi fiumi. Non mi sono sbagliato in fondo.
Ho portato con me un solo libro. Forse nella vita ne basta uno. Sempre lei, il cui nome devo sempre controllare per non storpiarlo: Szymborska. Wislawa Szymborska. Volume che aperto a caso mi dice:
Ho fatto un elenco di domande
a cui ormai non otterrò risposta,
poiché o sono premature,
o non farò in tempo a comprenderle”

Sì, poi alla fine la doccia sono riuscito a farla.


domenica 14 luglio 2013

Edificio 17A – Hospice



La mattina è iniziata con una spossatezza che non riusciva a farmi fare nulla. Ho preso coraggio e alla fine, alla belle e meglio, mi sono preparato per uscire. Pino è venuto a prendermi in macchina, e con Filippo siamo partiti per questa nuova avventura. Il posto dà sensazioni contrastanti. Da una parte sembra quasi un albergo. Dall'altra, poi, scopri piccole crepe. Sono ospitato in una stanza da solo, con un letto in più per eventuali parenti. Il cibo naturalmente è sempre quello. Quindi prima o poi rincontrerò la maledetta pastina. Oggi pasta con salsa di pomodoro e spezzatino con piselli e carote. Mangiato quasi tutto, la fame non va tanto per il sottile. Il personale già dal primo impatto sembra molto disponibile e gentile. Trovato subito il punto fumatori. Vicinissimo alla mia stanza. Attrezzato con posacenere. L'uscita dà sulla scala di sicurezza. Con veduta di parte del cimitero. Non vedo l'ora che arrivi il buio per vedere le luminarie. Alla prima sigaretta ho conosciuto Ilde. Lei è qui per il marito. Simpatica signora, dopo poche battute siamo passati al tu. Abbiamo conversato fumando seduti sulle sedie a rotelle. Mancava solo un tavolino e del tè. Mi racconta che da diversi mesi ormai vive qui per assistere il marito. Come al solito la domanda di rito, questa volta posta in modo diverso:
Resta sua moglie questa notte?”
Resta Filippo, il mio compagno”
Perché le persone sono sempre più disponibili di quello che uno pensa?
In ospedale per la terza volta. Oggi tredici luglio parte l'avventura in Hospice.


venerdì 12 luglio 2013

Edificio 17A – Lettera



Ho letto la tua questa notte. Credo fossero le cinque. Non ce la facevo a risponderti. Ho dormito a intermittenza. Dopo un'altra botta di febbre venutami di pomeriggio. Alle volte non connetto e scambio la sera per la mattina. O cose del genere. Poi, dopo aver preso il paracetamolo, inizio a sudare. Sudore che non finisce più. Prima mettevo delle magliette di cotone. Una sera ne ho cambiato quasi dieci. Adesso mi avvolgo in un asciugamano da bagno. Ieri sera ne ho dovuto cambiare tre. Mi sembra che non debba finire mai di sudare. Poi, dopo più di tre ore, finalmente comincia a scemare. Non mi sembra vero quando mi tocco la fronte ed è asciutta.
Sospettavo ci fosse un qualche grado di parentela fra te e Alessandra. Peppe è una persona simpaticissima. Solare. Per un breve periodo ha abitato vicino al negozio. Ci si vedeva tutte le mattine. Notai che lui, tutte le mattine, aveva un sorriso, mentre io alle volte arrivavo incazzato. Lui mai. Mi è dispiaciuto quando ha cambiato casa. Perché il suo sorriso era contagioso, e riusciva a farmi cambiare umore.
Un abbraccio.


Lettera inviata a Maria Eugenia Notarbartolo

giovedì 11 luglio 2013

Edificio 17A – Il nemico



Il nemico è sempre dietro la porta. L'autocommiserazione. Il piangersi addosso per lo stato in cui mi trovo. Il maggior sforzo è mantenere il controllo della mente e non lasciarsi andare. Possono esserci delle eccezioni. Alle volte giustificate. Ma non mi posso permettere più di tanto. Devo resistere. Cercare un sorriso da donare a Filippo. O una battuta scherzosa. Se ho le forze, mi muovo per casa sbrigando lavori casalinghi. Sciorinare la biancheria. Dare l'acqua alle piante. Occupare la mente con cose diverse.
I paragoni con “prima” mi vengono spontanei. Cerco di evitarli anche se tutto mi riporta lì. Ecco perché scrivo. Scrivere impegna la mente a concentrarsi sulle cose da dire e su come buttarle giù. Coinvolgendomi anche manualmente. Se ho cose da scrivere, per me è il miglior modo di resistere.

Piangermi addosso non lo sopporto. Spero di non lasciare mai entrare quel nemico appostato dietro la porta.

domenica 7 luglio 2013

Edificio 17A - Cose che ricordo del passato 34



Con il maestro Romeo ho fatto le prime tre classi elementari. Alle successive due classi ne ho avuto un altro (che in quinta mi ha bocciato). Mi sono ritrovato con Romeo nel ripetere quella classe. Credo che avesse una certa simpatia nei miei confronto. Un giorno, dopo una interrogazione mi mise un braccio sulla spalla. Io ero imbarazzato da questo contatto non usuale. Poi con la mano cominciò a toccare i capezzoli. Io mi andavo scansando, avvicinandomi sempre più al muro. Lì era attaccata la cartina geografica dell'Europa. A forza di spostarmi arrivai a far cadere la cartina. Grande imbarazzo del maestro, nascosto da un sorriso. Io tornai al mio banco rosso come il fuoco.


Alla terza media nella mia stessa classe c'erano due fratelli. Nino e Ignazio. Quest'ultimo era il più grande fra i due. Suonavano entrambi il pianoforte. Qualche volta sono stato a casa loro e si sono esibiti a suonare alternandosi al piano. Di solito Ignazio durante le lezioni di lettere sedeva accanto a me. Questo per poter seguire la lettura dall'antologia, che lui non aveva. Si leggevano brani dall'Odissea. Durante la lettura, Ignazio cominciava a spostarsi in modo da poter arrivare con il suo ginocchio fra le mie cosce. Cominciava così un lungo strusciamento che durava per tutta un'avventura di Ulisse. Naturalmente non ero di marmo. C'era una certa collaborazione anche da parte mia. Noi, imprudenti, facevano tutto questo lavorìo seduti al primo banco. Proprio di fronte alla cattedra. Tanto che una volta il professore interruppe la lettura per dirci:
Voi due, scostatevi un poco. E sedetevi meglio.”
Di scatto ci siamo allontanati. Io naturalmente arrossendo. Poi fu come se non fosse successo nulla. Quello strusciamento, fin dall'inizio, esisteva finché veniva eseguito. Finito l'incanto, eravamo pronti a negare che fosse mai successo.


Imbranato. Nei confronti di Pino, mio fratello. Mi sentivo imbranato. Da piccolo lui si costruiva il monopattino a rotelle. Mio padre gli portava le ruote a pallini. Credo che si chiamassero così. Lui si costruiva il suo giocattolo da solo. Da un falegname si faceva dare i pezzi di legno necessari. Nel giro di poco tempo, inforcava il monopattino e scorrazzava per la strada. Una volta si costruì anche u carruzzuni. U carruzzuni era una specie di scatola di legno munita di ruote. Ampia abbastanza da potersi sedere. Il massimo, con questo mezzo, era percorrere una strada in discesa. E lì, lanciare u carruzzuni a rotta di collo, esponendosi a diversi pericoli. Non era difficile che la scatola si ribaltasse. Io solo una volta ho voluto provare il monopattino. E mi sono fatto male. Ho stretto i denti e non l'ho detto a nessuno.


Io e Massimo cercavamo casa. Ad Amsterdam non era facile. Trovammo questo buggigattolo che... ancora oggi, a distanza di moltissimi anni, definie appartamento è un'esagerazione. Questo era il modo di esprimersi di Massimo. Non diceva bugie, ma nemmeno la verità. Al primo incontro, la padrona di casa volle la conferma che sia io che Massimo fossimo omosessuali. Questo perché lei non affittava la casa a persone etero, visto che a suo avviso i gay erano soggetti molto più inclini a ordine e pulizia.
La signora soffriva di profondo razzismo e non era cosciente.



sabato 6 luglio 2013

Edificio 17A – RRRH


                                Disegno: Kanjano PuntoOrg


Ancora nottata di febbre. Delirio incluso. Intorno alle nove e mezzo di mattina riesco, dopo diversi tentativi, ad alzarmi dal letto. Tutto è inzuppato di sudore. Io e il letto. Con movimenti da bradipo mi sono mosso per fare il minimo indispensabile. Alzarmi e arrivare nel soggiorno. Finire di asciugare l'ultimo sudore. Svuotare le due sacche che raccolgono l'urina. Mangiare due pesche. Bere diversi bicchieri d'acqua. Poi ho acceso la televisione, solo perché ha una fruizione passiva. Mi sono preparato un bicchiere d'acqua questa volta con zucchero e sale. Minchia no, "Non c'è pace fra gli ulivi" con Amedeo Nazzari, no. E negli altri canali non c'era proprio nulla di interessante. Ho trovato le forze per cambiare stanza e accendere il computer. Vai con Facebook. La prima cosa che ho visto è stato il disegno di Kanjano. No, i salti non li posso fare, li avrei fatti fosse stato un altro giorno. Ho provato qualcosa fra il moto di gioa e la sorpresa. Il "Grande", con il quale mi definisci... se tu mi vedessi in questo momento non so se lo riscriveresti. Resisto, come credo faresti tu. Naturalmente, per risparmiare fatica, queste parole me le rigioco (come sto facendo). E alla fine il ringraziamento, di cuore, per il tuo disegno.

giovedì 4 luglio 2013

Edificio 17A - Alzarsi



Ho la febbre e non riusciamo a capire da dove proviene. Spero dall'esame batteriologico possa arrivare qualche certezza. La mattina. Poi, dopo pranzo e cena. Questi sono i momenti in cui ritorna la febbre. Mi sono quasi abituato. Per me è seria dopo trentotto e mezzo. Fino a trentotto capisco che c'è ma non mi preoccupa molto. Mi preoccupa invece che quando ho la febbre ho più difficoltà ad alzarmi dal letto. E' inutile contare fino al tre per farlo. Arrivo al tre e sono ancora disteso dopo aver fatto leggeri movimenti con le gambe. Conto un'altra volta, ripromettendomi che questa volta mi alzerò. Niente. Cambio Tattica. Mi prometto un premio se mi alzo. Alle volte funziona. Non sempre, ma dipende anche da cosa penso che troverò di buono.
Essere bloccato a letto e non riuscire ad alzarsi. Ecco... la sensazione che ho è quella di una balena spiaggiata. Che può fare minimi movimenti, che non servono a nulla.
Poi alla fine ci riesco. Faccio uno sforzo e mi trovo in piedi. Come un guerriero, un po' acciaccato in verità, pronto ad affrontare le piccole battaglie di una giornata.
Di sera passa Pino. Come ogni settimana, mi porta il pranzo e la cena per la Domenica. Non ci si vedeva da diversi giorni. E' salito questa volta a casa. Mi ha messo la mano al collo. Baciandomi ripetutamente.

Nessuno dei due ha voluto mostrare le proprie lacrime all'altro.

mercoledì 3 luglio 2013

Edificio 17A – “Alice nel mondo reale”


Dopo parecchio tempo che non sfogliavo fumetti, oggi ne ho finalmente letto uno. “Alice nel mondo reale” di Isabel Franc e Susanna Martin (Panini 9L). Partendo da un'esperienza personale, Isabel Franc ci racconta di una donna alle prese con un tumore al seno. Sono stato incuriosito per un motivo ben preciso: volevo vedere se in altri generi di malati oncologici ci fossero delle affinità con il mio caso. Il volume è una lettura piacevole, e suscita un'emozione dopo l'altra.
Sia io che Alice abbiamo avuto lo stesso tipo di comunicazione della presenza del cancro. Entrambi abbiamo scoperto come i tuoi cari possono prendersi cura di te. L'ironia sulla comodità dell'essere malati, con gli infermieri che ti coccolano. Casualmente, sia io che Alice abbiamo dei gatti, e a un certo punto viene voglia di averli vicini. La presa di coscienza della ferita, avvenuta gradualmente. Il contrasto con i medici... che non ti ascoltano e leggono solo le carte. Le parole del malato che non sono ascoltate. Gli amici e conoscenti che ti danno tutti un consiglio su cosa dovresti fare.
Poi arrivano la paura... e la depressione. Ci sta anche questo . Sono momenti di grande confusione. Una mattina scopri che il tuo corpo è cambiato. Ma ci si convince lentamente che è comunque il nostro corpo.
Il rituale mattutino, diviso fra pillole e pulizia della ferita. La necessità, alla fine, di accettare le proprie lesioni come parte integrante di noi.
Mi colpisce il fatto che i più pesanti siano i problemi mentali, in fin dei conti, e come siano comuni un po' a tutti.
Marginalmente, Alice è lesbica. Ci racconta in modo divertente il suo giro di amicizie, con amanti e amiche.


Il motto di Alice? ”La vita dopo il cancro non è più la stessa... ma in fondo è quasi uguale”.

martedì 2 luglio 2013

Edificio 17A – Fiaba ?




L'ampio prato era il suo luogo preferito. I due ficus che si abbracciavano. Proprio in mezzo al prato. Con il mare a due passi. L'odore di salsedine. Dovette smettere di andarci. Lui non lo sapeva ma già covava in sé un segreto. Lo nutriva - lo so, vien da ridere - a sua insaputa. I segreti si nutrono senza badare alle conseguenze. Ledono, rodono, sfiancano... Si impossessano delle tue notti, fino al delirio. Non ti mollano. Fanno di queste notti un orrore. Con diversi assalti doloranti, pungenti e sanguinanti. Battaglie con brevi pause. Alla fine lui prese coscienza di avere un segreto senza poterlo svelare.

Ecco il mostro che è in lui.