sabato 29 giugno 2013

Edificio 17A – “Cu fa centu e un fa l'uno..”



Il dottore Favara della Samot è venuto di prima mattina. Mi ha trovato un poco provato. Sfido, dopo quelle nottate con la febbre. Cerca di tirarmi su. Il guerriero, così mi chiama, può perdere una battaglia è normale. Ma non si arrenda, ci saranno altre battaglie e le vincerà. Io pensavo invece che non avevo più forze. Tutto quello che mi diceva mi ricordava il detto che ripeteva spesso Boris in dialetto:
Cu fa cento e un fa l'uno... perde lu cento e l'uno.”

Il passo in più ogni volta per rialzarsi. Darsi una spinta e continuare. Continuare a essere il guerriero che non ha vergogna ogni tanto di lasciarsi andare o di perdere una battaglia. Anche le sconfitte diventano pagine della nostra vita. Siamo a cento e non possiamo ritirarci perché chi fa cento e non riesce a farne uno in più, perde tutto.

venerdì 28 giugno 2013

Edificio 17A - “Non si scoraggi”


Oggi era il turno della visita con l'oncologa. Dalla quale sono uscito con un quesito linguistico. Il senso da dare alle parole “Non si scoraggi”. Che vuol dire? Per lei forse è un augurio? Per me, parte lesa, vuol dire che c'è di che temere? Perché non mi ha detto semplicemente “Coraggio”? Un invito chiaro, esplicito. La negazione all'inizio non va bene. Bisogna essere positivi. Ma d'altra parte per i risultati clinici venuti fuori cosa poteva dirmi?
Non posso fare né chemio né radioterapia a causa della leucopenia. Globuli bianchi bassi, quindi resto sospeso. Poi la febbre di questi giorni aggrava ancora di più le cose.
Sono al largo e nuoto verso la riva. Non sono poche le bracciate che ci separano. Non mi scoraggerò. Non lo farò. Ma questa sera mi posso permettere un minimo di autocommiserazione?
E piangere...


giovedì 27 giugno 2013

Edificio 17A – Una cosa inutile






Seconda notte di febbre. Questa volta, forse perché era meno alta di ieri, con mente più lucida ho preso il paracetamolo. Con tutto ciò, alle otto di mattina avevo ancora la febbre. Poi, il consueto cocktail di farmaci mi ha aiutato a riprendermi. La cosa che più mi ha pesato in questi due giorni è stato il non poter scendere come al solito per andare in negozio. Mi sento isolato e fuori dal mondo. Prigioniero.
Una cosa inutile. Ogni tanto mi balena il pensiero. Ma non voglio caderci dentro. Mi appiglio a cose che riesco a fare. Anche a queste righe. Al gioco che faccio con le foto. A Filippo che rientra e mi saluta:
Ciao, amore.”

Tutto può rientrare nel farmi sentire ancora non inutile.

mercoledì 26 giugno 2013

Edificio 17A - Briciole di verità



Sono uscito dalla visita dell'ematologo con un principio di depressione. Mi sono sforzato di combatterla in ogni modo. Non so poi a causa di cosa... sarà forse la risposta del corpo? Perché lui ha la sua parte. Sono andato a letto prestissimo, non riuscivo a tenere gli occhi aperti. Ho preso il solito chupa-chupa. O licca-licca come li chiama il fornaio, dove oggi ne ho presi di veri. Finito il licca-licca mi sono addormento subito. Per svegliarmi nel mezzo della notte. Sudatissimo. Avevo la febbre, abbastanza da non riconoscerla neppure. Al mattino c'era ancora: trentotto. Ieri ho saltato alcune delle solite pillole: il cortisone, come mi aveva detto l'ematologo, il paracetamolo e il Gabapentin, che prendo di solito alle undici di sera. Saltati perché dormivo.
Ma la febbre che c'entra?
Mi sono alzato con dolori molto forti. Filippo ha chiamato il dottore della Samot. Fortunatamente lui era libero da impegni ospedalieri, poco dopo è arrivato. Mi ha rivisto ancora la terapia, per tamponare al meglio il dolore. Ha consigliato di prendere ancora il cortisone per due settimane a scalare. Mi accenna a un possibile effetto rebound di questa medicina.
Forse tutti noi abbiamo un briciolo di verità, il tutto sta a individuarla.


lunedì 24 giugno 2013

Edificio 17A - No, non è Pilato



Visita dall'ematologo. Non è lo stesso che mi ha seguito fino ad oggi. Questo mi indispone un poco. Non conoscendomi, deve... naturalmente, capire il caso. Legge solo l'ultima relazione del suo collega. Secondo me, un po' troppo frettolosamente. Fra l'altro, in quel foglio c'è scritto chiaramente: “Si richiede revisione istologica a Bologna, referto disponibile fra due settimane”. La risultanza logica dovrebbe essere di cercare la revisione richiesta. No, devo essere io ricordargli che manca. Va di là, dall'infermiera, e ritorna con il referto dei vetrini arrivato da Bologna.
Mi dice di sospendere il cortisone che prendo da più di un mese.
Gli chiedo:
Quindi da oggi posso sospenderlo? Non lo prendo più?”
Sì, lo può sospendere.”
Poi si mette a scrivere... o meglio trascrivere, perché per lo più sono i risultati di alcuni esami. Gli chiedo se c'è l'esame di sangue per la tipizzazione dei leucociti. Non ne sapeva nulla e mi dice:
Vada a farselo dare dall'infermiera.”
Io, il malato... che cammina con evidente difficoltà... vado dall'infermiera.
Lui riprende a scrivere.
Mi puntualizza che devo farmi riscrivere la richiesta dal medico di base. La dizione “CA Retto” non va bene. Devo far mettere “Anemia e neutropenia d NDD”.
Con la prima non ha nulla da fare qui. Con la seconda sì” mi dice dopo aver riempito una pagina di nulla. Trascrivendo parte della relazione di Bologna, i dati della tipizzazione e i risultati del laboratorio di esami clinici.
Conclude con:
Si rinvia all'oncologo di fiducia per le cure del caso.”
E buonanotte ai suonatori.

martedì 18 giugno 2013

Edificio 17A – Fra sonno e dolori



Domenica. Mi ero ripromesso da tempo di sistemare le piante che tengo nel piccolo balcone della stanza da letto. Pomposamente, lo chiamo... il mio giardino. Palma da dattero, avocado, sclepia, lavanda, gigli. E una pianta spuntata da un seme regalatomi da una amica. Non ricordo però che cosa sia. Ho rinvasato questa pianta perché il vaso s'era fatto troppo piccolo per lei. Ho pulito il balcone. Mi sono stancato. Per rilassarmi mi metto davanti al computer. Poi la doccia. Ero ancora stonato dal sonno perduto nelle notti precedenti. Aspettavo il dopo pranzo per poter riposare e dormire.
Dopo una favolosa pasta al forno, fatta da Pino, e delle ciliegie. Mi sono messo a letto. Solito andazzo, anche se prendo l'Aticq, i dolori se si devono presentare si presentano. Quindi mi alzo. Mi rimetto davanti al computer. E sono le tre di pomeriggio. Per la pesantezza dovuta al sonno ho solo fatto il guardone su facebook. Posso dire che ho vagato. Vagato fra le foto. Alle cinque mi decido a riprovare e mi metto a letto.
Stavolta crollo completamente.
A un certo punto, però, mi sveglio e...qualcosa non va. Il sacchetto della nefrostomia è talmente pieno che si è staccato. Con le naturali conseguenze. Vado per alzarmi e anche la sacca della colostomia dà segni di cedimento. Mi sento leggermente confuso e in difficoltà. Chiamo Filippo per aiutarmi. Gli chiedo l'ora: le undici di sera. Quando mi alzo si stacca dal catetere la sacca di raccolta. Non posso lasciarmi prendere dalla disperazione. E' solo tempo di cercare di rimediare a tutto. Una cosa alla volta. Con pazienza, con l'aiuto di Filippo... una cosa alla volta.


lunedì 17 giugno 2013

Edificio 17A – “Picchì chi è”



Nottata insonne. Mi sono svegliato perché c'era qualcosa che non andava. Non ho più gli stimoli normali per quanto riguarda i bisogni corporali. Ma è come se avessi sviluppato un sesto senso che mi invia segnali d'allarme. Devo andare in bagno. Ecco questa notte mi sono svegliato con la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava. Beh, era proprio così. Il sacchetto della colostomia era pienissimo e stava per staccarsi. Mi sono dovuto alzare per cambiarlo, senza più riuscire a prendere sonno dopo. Ho rinvangato il passato attraverso internet. Ricerche su: Umberto Tiboni, Milano, Mondo Beat, per scoprire legami tra compagni di allora. Collegamenti fra diversi movimenti. Cose del mio passato che mi hanno distratto fino alle sei. Poi ho iniziato a prepararmi per scendere in negozio.
Ho cercato di mettermi a letto e dormire diverse volte senza riuscirci. Alle undici ho tentato la prima volta, mentre mi prendevo un Actiq. Poi, intorno alle quattro di pomeriggio, con il secondo Actiq mi sono addormentato.
Mi ha svegliato Filippo. Parlandomi di un taxi che doveva venirci a prendere per andare Ai Cantieri Cultuali. Mi preparo e scendiamo. Andiamo a vedere “Picchì chi è”. Film di Giuseppe Carleo sul movimento omosessuale palermitano.
Il Pride Village mi appare per quel poco che ho visto come una vecchia Festa dell'Unità. Con quasi le stesse, identiche facce.
Il film è un tentativo di scrivere un parte della complessa storia del movimento gay di questa città. Non sempre riuscendo nell'intento, nel senso che alcune persone e gruppi non vengano approfonditi quanto dovuto. Altri sono invece sovraesposti. Vista la capacità scenica del nostro sindaco, non potevano mancare i suoi interventi a effetto.
Appunto, come dicevo, un tentativo. Nel complesso, però, ben fatto.
La cosa che più mi è mancato questa sera? Una birra. Poter bere una birra fresca.
Ed io non posso.

domenica 16 giugno 2013

Edificio 17A - Palermo Pride



Venerdì 14 giugno, apre il Pride Village dando ufficialmente inizio alla settimana dedicata al Pride LGBT con grande orgoglio, da parte di noi palermitani, e immenso affetto e rispetto verso soprattutto due persone: Carlo Verri e Claudio lo Bosco. A mio parere, sono stati loro a risvegliare il movimento omosessuale palermitano che anni fa era ancora in letargo. Nelle condizioni in cui mi trovo mi sarà difficile poter partecipare come vorrei. Ma ad un paio di eventi non vorrei assolutamente mancare. Trovando un' anima buona che mi dia un passaggio in macchina.
Per il corteo del 22 Giugno ci sto pensando. Da escludere, naturalmente, poterlo vivere come gli altri anni. Penso a quanto potranno essere diverse le foto che farò quest'anno. La prospettiva è o salire su uno dei carri o rimanere davanti al negozio. Ma nessuna delle due mi alletta.
Anche avendo un tumore, sapendo bene della mia malattia, non posso permettere che invada la mia vita totalmente. Ho bisogno anche di altri pensieri.


venerdì 14 giugno 2013

Edificio 17A - Cose che ricordo del passato 33


Grazie al trasferimento a Palermo di Carlo Verri e Claudio Lo Bosco, il movimento omosessuale ha ripreso a camminare. Da anni, a parte una breve esperienza come Cooordinamento omosessuale palermitano, e la presenza di Lady Oscar-Arcilesbica, sia pure non attivissima, il movimento era in letargo. Da allora qualcosa si è mosso. Ci siamo svegliati. All'inizio eravamo in pochissimi, cinque o sei persone. Siamo diventati Articolo Tre: Associazione omosessuale. Successivamente è (ri)nata anche Arci Gay. Siamo arrivati, oggi, al Gay Pride Nazionale. Il merito di Carlo e Claudio è grandissimo in tutto questo.
Io ho insistito affinché si usasse la parola omosessuale e non gay nel nome dell'Associazione:
Non si può sbattere omosessuale così in faccia alla gente,” disse qualcuno.
Neanche il termine omosessuale fosse diverso da gay.


Mio padre era un tipo diciamo accorto. Non spendeva soldi inutilmente. Non lasciava accese le luci in una stanza se non ci stava nessuno. Accorto nel chiudere i rubinetti per non sprecare acqua. In casa veniva spesso deriso per questo. Tirchio, era il titolo che gli avevano assegnato. Ma lui, imperterrito, continuava nella sua missione. Quando andò in pensione, spesso faceva lui la spesa. A mia madre questo non andava giù. Lei aveva difficoltà ad uscire, i suoi acciacchi, di solito, la inchiodavano a casa. Un giorno mio padre comprò dei pesci. Savuri. Fra i pesci azzurri, diciamo, che hanno la carne meno pregiata. I savuri bianchi sono un po' più buoni. Non ricordo bene, ma sicuramente erano savuri...
Io stavo rientrando, e sentii mia madre urlare:
Arrieri savuri! Ma sulu chistu accatti?”
Appena entrato in cucina vidi mia madre che brandiva il coppo dei pesci con il piglio di un provetto lanciatore di pesi. Un istante dopo, un lancio perfetto... oltre la ringhiera del balcone.
E fu il volo dei Savuri.



In uno sperduto paesino della Lombardia. O meglio in un campo vicino - ma non molto - al paesino. Lì si svolse una tre giorni di controcultura, musica e cose così. Era il 1976: anno in cui usciva una pubblicazione che si chiamava Puzz. Nata inizialmente come fumetto si trasformò con il tempo in una pubblicazione che aggregava un gruppo neo situazionista. Non chiedetemi chiarimenti in proposito. A pelle mi erano simpatici. Mi piaceva la creatività che traspariva dalle loro pubblicazioni. Certo non era facile da leggere, usavano un linguaggio piuttosto contorto. Almeno per me. Quella tre giorni fu organizzata in larga parte dal gruppo di Puzz. C'ero andato con Umberto Tiboni. Lui era presente anche come distributore e partecipò anche a qualche dibattito. L'esperienza per me fu piacevole. Anche se si dormiva in tenda. Il momento tragico per me era quando dovevo andare in bagno. Non esistevano bagni chimici. Ci si poteva appartare dietro un cespuglio, dimenticandosi acqua e bidè, usando qualche foglia. Mentre oggi avrei meno problemi di questo genere. Con qualche sacchetto e alcune salviette ce la potrei pure fare.


giovedì 13 giugno 2013

Edificio 17A - Compassione


                                      
Umberto abitava vicino al negozio. Ultrasettantenne. Basso, tracagnotto. Ancora un torello. Con un modo di chiacchierare incontenibile. Spesso prendevamo il caffè insieme. Mi raccontava le sue passate storie di camionista. Tutte al limite del credibile. Come il vantarsi delle sue performance sessuali. Adesso passa raramente da queste parti. Oggi è venuto a trovarmi. Sapeva già tutto del mio stato. Adesso abbiamo qualcosa in comune. Anche lui ha una colostomia, e da parecchio. Sbottonando la camicia e aprendo i pantaloni, tutto baldanzoso, ha voluto mostrarmi il suo sacchetto. Vantando il fatto che il suo è più grande del mio. Naturalmente, nello stile di Umberto, con inevitabili allusioni al sesso. Dice che ormai si è affezionato alla stomia. Non la vuole tolta. Che il maneggiare le proprie feci non gli da fastidio. All'inizio, come è successo anche a me, non riusciva nemmeno a guardare la ferita. Adesso si è reso indipendente e fa tutto lui. Mi comunica, inoltre, che ancora gli funziona. Parlandone in terza persona e toccandosi.
Non fa più scintille, ma fa il suo dovere”
Insomma due malati che si incontrano e condividono i loro problemi quotidiani. Mi ripete più volte che deve andare a consulto dal dottore che lo segue. Alla fine prima di andarsene ci siamo abbracciati a lungo.
Come dice il Budda: Quando sei accanto a una persona che soffre, e non sai come consolarlo, basta appoggiare una mano sulla sua spalla. In silenzio.
Noi lo abbiamo fatto reciprocamente.


mercoledì 12 giugno 2013

Edificio 17A - Dormire...



Tutto sta nel dormire. Se ho una nottata serena, la mattina mi sveglio carico. Al contrario se non dormo bene mi sento una pezza che striscia. I dolori che nascono quando vado a letto non sono sempre gli stessi. Li distinguo in due principali gruppi. Muscolari o nervosi. Nella terapia, infatti, il Gabapentin è quello specifico per i nervi. Riguardo l'Actiq, invece, ho notato che non ha alcun effetto sui nervi. Ma non posso prevedere quale dei due tipi di dolori arriverà a presentare il conto. L'Actic , inizialmente farmaco da assumere al bisogno, ormai è diventato un doppio appuntamento quotidiano.
Però è bellissimo, quando ho dolori muscolari, l'effetto del chupa-chupa. Mette lentamente a dormire il dolore. Io sento come se si sciogliesse il fastidio. Mentre una dolce sonnolenza mi prende. Non sono sogni veri e propri. Ma un lasciarsi andare ai pensieri e far affiorare una storia in cui sono già immerso. Quando si sta trasformando in sonno, un nonnulla mi riporta alla realtà. Ed è finita. Significa che mi devo alzare. Un qualche dolore si fa vivo. Via, allora, dal letto per distrarmi un po'. “Un po'” non è una quantità ben precisa. Diciamo che in questo frangente può andare da mezz'ora ad una notte intera. Dipende.

martedì 11 giugno 2013

Edificio 17A - Cose che ricordo del pasato 32



Lui impazziva per le tette di Abbe Lane e per le velatissime cosce delle gemelle Kessler. Io impazzivo per lui. Fu un'illuminazione, quando capii cos'era quel malessere che provavo quando lo vedevo. Tutto uno sfarfallio nello stomaco, tremori alle ginocchia... e quello sguardo da pesce lesso che non riuscivo a togliermi. Mi ritornava sempre quella visione: lui nudo sotto la doccia. Avevo visto nudo anche mio fratello, ma non provavo le stesse emozioni.
Il signor Salvatore era l'uomo nudo. Mio fratello era soltanto... svestito.


Il primo campo coltivato a fave lo vidi di notte. Perdendoci il portafoglio, scivolato via dalla tasca dei pantaloni abbassati, durante una scaramuccia sessuale. Tutto mentre il suo amico autista aspettava in macchina. Eravamo arrivati lì su una spider rossa. In tre. Lui subito mi precisa che, non avendo la patente, si fa accompagnare da un amico. Mi aveva abbordato dicendomi:
«Sei qui in attesa che qualcuno ti rapisca?»
«Non sarebbe una cattiva idea...»
«Allora sali.»
Io lo avevo notato... su quella spider rossa. Ma vedendolo in compagnia di un'altra persona avevo perso le speranze.
Era stata la classica giornata di merda. Chiuso nella cucina dell'albergo Kinzica di Pisa, dove lavoravo. A cucinare, assumendomi il lavoro del collega assente.

Non avrei mai pensato si potesse concludere in un campo di fave. 

lunedì 10 giugno 2013

Edificio 17A - Cose che ricordo del passato 31


Per accedere al corso di tecnico di laboratorio all'Istituto d'Igiene bisogna fare anche un colloquio. La commissione era formata da diversi docenti e dal direttore dell'istituto. Dopo alcuni convenevoli. Il direttore mi chiede:
«Che cos'è il suono?»
«Un'interruzione del silenzio.»
Mi guardò meravigliato e sorpreso. Ma non si espresse. Unica domanda.
Ammesso.


Ci si sedeva in circolo. Non c'era un programma. Iniziava per prima chi sentiva l'urgenza di parlare. Gli altri seguivano il filo o raccontavano altro. Lui, l'analista, alle volte interveniva, altre si limitava a tirare le somme alla fine della seduta. L'assistente invece stava sempre muto e non interveniva mai. Alle volte prendeva appunti. La seduta avveniva in due round il primo di novanta minuti, e l'altro di trenta con una pausa anch'essa di trenta minuti. Noi lì, a cercare di sistemare ognuno il proprio puzzle. Passai cinque anni nel gruppo prima di lasciarlo. Non ho completato l'intero mosaico, ma riesco ad avere lo stesso una visione d'insieme.
Può bastare.


Le catenelle colorate. Quando frequentavo la scuola elementare. Nel periodo di magra delle figurine di calcio, c'era la raccolta delle catenelle. Si compravano i singoli anelli della catena e poi si giocava con gli altri ragazzi. A tre o a cinque anelli. Si segnava la base dove dovevano arrivare, e poi si lanciava tentando di centrarla. Davanti alla scuola, la mattina, sostava là una bancarella. Vendeva caramelle, mele zuccherate, gomma da masticare e cocco a pezzi. Con trecento catenelle potevi avere un cocco intero. Mai nessuno, tra quelli che conoscevo, ebbe mai un cocco in cambio delle catenelle.


Intorno ai dieci anni andavo a lavorare da Mimmo il barbiere. Io ero quello che scopava, toglieva la schedina del totocalcio che veniva usata per raccogliere la saponata dal viso dei clienti, preparava i panni caldi da applicare dopo il taglio della barba. Allora, per fare lo shampoo si riscaldava l'acqua in una pentola e poi la si stemperava. Io mi occupavo anche di questo. Fra i tanti clienti ce n'era uno che quando lo vedevo arrivare sarei scappato volentieri. In modo scherzoso, mi chiedeva:
«Me lo fai vedere. Voglio vedere se lo hai più lungo di quello di mio nipote.»
E cercava di tastarmi mentre io facevo di tutto per allontanarmi, arrossendo per la vergogna e sudando per il disagio. Con mio zio che lavorava lì e non interveniva. Per tutti era un modo di scherzare. Per me, ogni volta, una sofferenza. Lui non era un pedofilo. Gli piacevano i ragazzi questo sì. Io lo scoprii molti anni più tardi.
Stronzo.


La noce moscata...
il sagrestano la portava nella tasca sinistra dei pantaloni. Spesso la tirava fuori e la strofinava fra le mani. Poi, avvicinandole a coppa al naso, ne aspirava l'odore. La tasca destra era quella bucata. E capitava che invitasse qualche ragazzo a infilarvi la mano. No, non portava le mutande il sagrestano. E odorava ovunque di noce moscata.

Io lo sapevo. 

domenica 9 giugno 2013

Edificio 17A - La norma




La mia vita ormai ruota tutta intorno alla malattia. Leggo? No, non leggo quasi più. Televisione? Qualche trasmissione informativa, ma che non sia lunghissima. Anche i film sono diventati rarissimi. Qualche volta un telefilm. Una sfogliata veloce ai quotidiani. E poi si parla solo della malattia. Vivo in funzione della malattia. Dalla mattina appena sveglio fino a quando vado a letto. E' un continuo scandire cose da fare, medicine da prendere, pulizie da effettuare. Tutto il resto che riesco a fare, anche scrivere queste righe, è un intermezzo.
Oggi prima visita dell' infermiere della SAMOT. Ha controllato le due stomie e ha voluto vedere il catetere. E' rimasto più di un'ora fra chiacchiere e moduli da riempire.
Non vedevo l'ora che finisse, erano le due passate e ancora io e Filippo non avevamo pranzato. Fortunatamente non c'era da cucinare. Era tutto pronto, cibo rimasto da ieri. A metà pranzo suonano al citofono.

    «Sono l'assistente sociale.»
    Anche lei mandata dalla Samot. Pranzo interrotto e altre domande alle quali rispondere e altri moduli. Poi... l'incidente. Mi si apre la sacca della colostomia. Con l'aiuto del buon Filippo ci dedichiamo alle pulizie. Io al mio corpo, lui al pavimento. Momenti di imbarazzo ormai quasi minimi. Tutto sta rientrando nel possibile della norma. Riprendiamo con l'assistente sociale. Lei va via alle tre e un quarto. Finisco ormai svogliatamente di pranzare. Prendo le pillole che mi spettano dopo mangiato. Mi prendo anche le altre che avrei dovuto prendere alle tre. Mi metto un Actiq in bocca, ed essendo molto stanco penso di mettermi a letto per riposare. Resto disteso una decina di minuti. Iniziano i dolori. 

sabato 8 giugno 2013

Edificio 17A - Uscire




Oggi è stata una giornata buona. Mi sono svegliato in forze. Mi sono dato una lavata. Ho cambiato tutti i vari sacchetti. Sono sceso in negozio dove sono rimasto fino a chiusura. Anzi ho chiuso io, facendo anche la resa dei quotidiani. Di pomeriggio è venuto il dottore Favara della Samot. Consiglio per la colostomia. Forse sarebbe il caso di farla vedere ad un chirurgo. Mi ha incoraggiato quando gli ho detto che stavo per uscire. In effetti, con Filippo siamo andati all'inaugurazione del nuovo locale di Fateh, nostro amico palestinese. Per arrivarci bisogna fare via Alessandro Paternostro... tutta in salita. Mi appoggiavo a Filippo per aiutarmi. Come sempre incontro persone che mi salutano e che io non riconosco. Davanti al Bar Garibaldi, una bella ragazza vestita di rosso mi guardava come se ci conoscessimo. Io di solito ammicco, saluto, sorrido. Imbarazzato. Sempre. Chiedendomi dopo chi fossero. Siamo arrivati che già c'era un sacco di gente. Dentro, una fila enorme per il tavolo del self service. Non c'era dove sedersi. Cosa, per me, già stanco, fondamentale. Abbiamo fatto marcia indietro. Siamo tornati a casa. A tradire Fateh, mangiando pane e panelle.
Sono uscito. Ho camminato parecchio. Appena arrivato ero un po' stanco, ma è passato subito. Nel complesso forse mi sento più sciolto nei movimenti. Più di prima, pertanto, bisogna resistere. Resistere e uscire.


venerdì 7 giugno 2013

Edificio 17A - Cose che ricordo del passato 30





Un mio zio era impiegato presso un barbiere. Aveva come hobby l'allevamento di piccioni. Li allevava sul terrazzo di casa. Dove aveva costruito un'enorme piccionaia. Gli dava da mangiare, li curava e puliva. Tutto. L'unico utilizzo pratico era quello di un sms oggi. Mi zio si portava un piccione al lavoro. Quando era ora di tornare a casa lo liberava. Con un bigliettino legato ad una zampa con su scritto: "Cala a pasta".


Cibo spazzatura! E io l'assaggiavo. Spazzatura da grand hotel. Krasnapolsky di Amsterdam dove negli anni settanta ho lavorato. Facevo il controllo notturno di tutte le aperture verso l'esterno del albergo. Lo giravo quindi da cima a fondo. Passando naturalmente per la cucina. Ero alle prime canne e qualche volta ne preparavo una da fumare mentre facevo il giro. Iniziavo il giro dal tetto, dove davo le prime boccate. Era una porticina secondaria che dava su un terrazzo. Il giro durava più di un'ora. Girando in lungo e largo l'albergo. Quando arrivavo alle cucine si era sviluppata una certa fame. Scoperchiavo tutte le pentole lasciate sui fornelli. Purtroppo abbandonavano quasi sempre solo minestre. Tutte facevano vomitare, tranne una che dall'aspetto sembrava disgustosa, ma assaggiandola non era troppo male. Era una specie di minestra primavera con capellini spezzettati. Certo non c'era da appanzarsi ma qualcosina faceva. Scoprii con il tempo che anche un altro mio collega faceva lo stesso. Io lo vivevo con senso di colpa, lui come una bravata.


All'inizio del servizio civile noi obiettori siamo stati inviati nel centro salesiano di Arese. Noi pensavamo di essere lì per scegliere se rimanere o no, i preti per scegliere chi di noi poteva restare. Noi disarmati nella scelta. Loro ci sottoposero a tutta una serie di esami psicologici. Dal semplice colloquio a una serie di quiz, per finire con le macchie di Rorschach. Noi giocavamo, fottendocene delle loro regole. Una sera prima di cena ci si mise a giocare truccandoci con dei prodotti che aveva portato Mauro, un altro obiettore. Li usava quando suonava in pubblico. Lui faceva parte di un gruppo musicale e ogni tanto facevano delle serate. Ci siamo truccati tutti divertendoci come matti. Arrivata l'ora di cena siamo scesi nella sala da pranzo. Di solito qualcuno di noi andava in cucina, gestita da alcune suore, e prendevamo i vassoi con la cena per tutti. Mi presentai in cucina. La suora mi si avvicinò e mi guardava stupita. Le chiesi il cibo. Continuavo a chiedermi cosa avesse da guadare in quel modo. Dopo un bel po' realizzai che né gli altri né tanto meno io avevamo pensato a struccarci. La suora mi passò il vassoio la salutai serio poi scappai per andare a ridere nella sala da pranzo.


Lui era americano. In vacanza ad Amsterdam. Ci eravamo conosciuti in sauna. Poi mi aveva invitato ad andare nel suo albergo. Ci ritrovavamo, così, invece che a sudare su un lettino foderato in similpelle, in un letto vero. Al culmine, lui tira fuori una fiala la mette in mezzo a del cotone e la spezza mettendola subito dopo sotto il mio naso. Aspira! Curioso. Aspira! Vidi il mio cuore. Era lì di fronte a me che pulsava. La testa, che girava come una giostra impazzita. Il cazzo lo sentivo come un totem indiano. Il tutto durò una decina di minuti. Non capii cosa c'entrasse con il sesso. Ma a lui piaceva così.



giovedì 6 giugno 2013

Edificio 17A -Edificio 17A - I piccoli malanni



I piccoli malanni accessori. Sai quando ti dicono “prendi il cortisone, anche se c'è il rischio che faccia fare dei balzi alla glicemia”? Tre volte al giorno tachipirina da 1000, poi mi sussurrano “non ne abusi”. Ci si può lamentare fra malati. Ci si parla di quelle cose che spesso non vengono considerate... ci si comprende. Parlando con Giovanni, ci si confrontava sui nostri rimedi per aiutarci. Lui si inventò - e funzionava - un decotto di ortica. Un rimedio eccezionale per la sua pelle che sentiva pungere dappertutto. Con lui ho potuto parlare del cocktail di farmaci che prendo, della conseguente debolezza immunitaria che mi ha esposto a un forma di micosi in bocca. Ma non solo. La pelle s'è fatta secca e rugosa. Crampi alle mani. Muco come fossi raffreddato. I palmi delle mani sono coperti da rughe che fino a qualche mese fa non c'erano. E asciutte fino a dare fastidio.
Ai farmaci che prendo ora si sono aggiunti: un antibiotico, un antimicotico, sciacqui con il bicarbonato per la bocca. Ad alcuni possono sembrare lamentele... Per me sono elencazione di dati a cui molti non fanno caso. Le piccole cose che, fra malati, ci raccontiamo... così... per metterle da parte.
Poi abbiamo anche altro da fare
Poi c'è la biancheria da stendere.

E continuare a vivere.

mercoledì 5 giugno 2013

Edificio 17A - Edificio 17A- Cose che ricordo del passato 29



La casa dei miei era a Romagnolo. Una zona balneare dove nel giro di pochi anni fu vietata la balneazione. Dove qualcuno trovava le sigarette dei contrabbandieri, io un decennio dopo trovavo animali morti. Casa dei miei era formata da tre vani, un bagno, una cucina abitabile e la veranda. Le verande a Palermo, allora, avevano vita breve Nel giro di un niente erano trasformate in nuovi spazi abitabili. E così fu anche per la nostra. Diventò la stanza dove c'era l'armadio a cinque ante. Mobili che non piacciono più, ma non si buttano. Neglie sparse. Il mobile letto: quell'orribile invenzione. In uno dei due lettini ci dormivo io. Sull'altro, fantasticavo di notte, chi potesse dormirci. Erano sempre esseri che mi mettevano paura.
Di pomeriggio, in estate, la veranda diventava una sauna. Inutile tenere aperta la finestra. Per come era stata costruita non c'era niente da fare. Sopportavo il caldo pur di star lì, a far il niente delle mie cose. In inverno, naturalmente, era la stanza più fredda di tutta la casa. Allora mi avvolgevo in una coperta. Una di quelle militari, comprate da mio padre ai Lattarini. Passavo tutto il tempo che stavo a casa lì. Mi ci rifugiavo. Sì, era la stanza della mia gioventù.



Distribuivamo rose rosse e Liberazione. Primi ad annunciare la vittoria del no all'abrogazione della legge sul divorzio. Liberazione, giornale del Partito Radicale, era stato stampato prima di sapere il risultato tanto si era sicuri di vincere. Facendo una colletta comprammo delle rose rosse per distribuirle in segno di festa. Partimmo da Via Nicolò Garzilli, dalla sede della Sinistra Socialista che ci ospitava. Arrivati all'incrocio fra Via Ruggero VII e Via Mariano Stabile, una decina di fascisti ci si para davanti con delle catene in mano. Fuggi fuggi generale. Io e altri due compagni ci rifugiammo nella farmacia di Via Mariano Stabile. Ci fecero mettere nel retrobottega. Io vidi un martello e istintivamente lo afferrai. Ma fu un istante... e lo rimisi al suo posto. Intanto avevano chiamato la Polizia. Arriva la Digos e ci dicono di seguirli in Questura. Certi inviti non prevedono un rifiuto. In macchina diretti in questura, un agente seduto davanti si gira verso di noi e ci dice:
"Voi avete vinto il referendum, loro hanno vinto nella piazza".


Milano di notte. Io e Paolo ritornavamo a casa. Eravamo stati a casa di amici e si ritornava in via De Castillia. In corpo una pastiglia di acido in piena azione. Con Paolo era tutto più leggero. Non c'erano ostacoli e tutto era possibile. Ci ferma un gatto. Paolo inizia a parlargli. Lui inizia a seguirci a distanza. Arriviamo a casa e dopo un attimo di indecisione entra dentro il portone e sale le scale fino a casa. Gli diamo da mangiare quello troviamo in frigo. Ben poco in verità. Noi eravamo felici di essere stati scelti da quel bel gattone. Dopo due giorni di ospitalità è sparito nel nulla. Come l'acido.

martedì 4 giugno 2013

Edificio 17A - Non è lamentarsi



I piccoli malanni accessori. Sai quando ti dicono “prendi il cortisone, anche se c'è il rischio che faccia fare dei balzi alla glicemia”? Tre volte al giorno tachipirina da 1000, poi mi sussurrano “non ne abusi”. Ci si può lamentare fra malati. Ci si parla di quelle cose che spesso non vengono considerate... ci si comprende. Parlando con Giovanni, ci si confrontava sui nostri rimedi per aiutarci. Lui si inventò - e funzionava - un decotto di ortica. Un rimedio eccezionale per la sua pelle che sentiva pungere dappertutto. Con lui ho potuto parlare del cocktail di farmaci che prendo, della conseguente debolezza immunitaria che mi ha esposto a un forma di micosi in bocca. Ma non solo. La pelle s'è fatta secca e rugosa. Crampi alle mani. Muco come fossi raffreddato. I palmi delle mani sono coperti da rughe che fino a qualche mese fa non c'erano. E asciutte fino a dare fastidio.
Ai farmaci che prendo ora si sono aggiunti: un antibiotico, un antimicotico, sciacqui con il bicarbonato per la bocca. Ad alcuni possono sembrare lamentele... Per me sono elencazione di dati a cui molti non fanno caso. Le piccole cose che, fra malati, ci raccontiamo... così... per metterle da parte.
Poi abbiamo anche altro da fare
Poi c'è la biancheria da stendere.

E continuare a vivere.

lunedì 3 giugno 2013

Edificio 17A- Cose che ricordo del passato 28


Mi citofonano in piena notte. Saranno state le quattro. Mezzo intontito rispondo. Dall'altra parte una voce maschile mi dice:
Polizia, potrebbe scendere?”
Subito penso: ho ancora del fumo? Dove lo nascondo? Poi, più razionalmente mi avvio per vestirmi. Mi dicono che nel mio negozio sono entrati dei ladri. Hanno tagliato parte della saracinesca. Hanno rotto un vetro e sono entrati. Avevano preso i soldi della cassa, nascondendoli negli slip. In un cartone avevano messo delle riviste e dei cd da portare via. Ma sono stati beccati. Erano in due. Tutti e due del quartiere. Con precedenti penali.
Pochi mesi dopo, tutta la famiglia è stata arrestata per spaccio di coca.
Compresi loro due.


A Palermo fino ad una decina di anni fa l'acqua era razionata. C'erano turni ben precisi durante i quali veniva erogata. La mattina, nei vicoli del centro era un concerto di motorini al lavoro. Si riempiva tutto quello che si poteva riempire. Ogni tanto capitava un intoppo, e si restava senza. Quando la distribuzione avveniva a giorni alterni, era una tragedia. Voleva dire restare senz'acqua per due giorni interi. In una di queste occasioni chiesi a Francesco, che abitava sullo stesso pianerottolo, se mi facesse fare una doccia da lui. Mi disse di sì. Mentre ero nella doccia, alzando lo sguardo vidi... due funghi. Due funghi, identici a quelli che ogni tanto spuntavano fra i gradini della scala. Solo che questi crescevano a testa in giù.
Due funghi a testa in giù sul tetto della doccia.

Non so da quanto tempo gli frullasse in mente quella domanda.
Io e mio padre stavamo rincasando in auto, dopo aver fatto la spesa. Non ricordo di cosa stessimo parlando. Ricordo solo che usciti dalla macchina lui mi disse:
Giuralo sulla tua verginità.”
Espressione mai usata da mio padre. La sua era più che altro una velata domanda a me, vicino ai vent'anni. Voleva sapere se fossi stato a letto con una donna, e aveva sperimentato di chiederlo in quel modo. Il portone era vicino, e mi sembrò la salvezza. Non seppi rispondere se non con i segni del corpo.
Diventai rosso come un peperone.

Lei adesso è grande. L'ho vista pochi giorni fa con due bambine, suppongo sue. Al tempo avrà avuto poco meno di dieci anni. Io ero al mio secondo anno da edicolante. Lei passava spesso, andava a comprare il pane per casa e poi entrava nel mio negozio. Stava a sbirciare tutti i giornali che la interessavano. Un giorno mi sembrò avesse un'aria sospetta e la controllai facendo finta di nulla. Vidi chiaramente i suoi movimenti. Quando sta per andarsene la fermai. Subito mi disse:
Non mi tocchi!”
Allora fammi vedere quello che hai nascosto.”
Io non ho nulla, mi prende per ladra?”
Mentre diceva così, da sotto la maglietta le scivolò un Topolino.
E quello?” dissi.
Non avevo i soldi per comprarlo.”
Gioia di papà.


domenica 2 giugno 2013

Edificio 17A - S.A.M.O.T.

Edificio 17A - SAMOT

Basta poco a buttarmi giù, ma anche per farmi riprendere.
Nel panico... per il disturbo che per qualche giorno mi ha dato la nefrostomia. Mi ha causato ventiquattro ore di febbre. Oggi sono tornato a Chirurgia Oncologica e mi hanno infine liberato dal tappo che frenava la fuoriuscita di urina. Consigliato un antibiotico. A voce, nessun appunto scritto. Da ciproxin e diventato cipri qualcosa, svanendo sempre più dalla memoria. Il famacista interpreta i ricordi sfilacciati e mi presenta... aciclovir.
Segue la visita della dottoresse della Samot. Evento che mi ha un po' rincuorato. Innanzitutto abbiamo chiarito che l'antibiotico era indubbiamente ciproxin. Dovrebbe, inoltre, partire un servizio di assistenza domiciliare. Sapere che c'è qualcuno a cui potersi rivolgere non è cosa da poco. Sapere che non dovrò più correre in ospedale a chiedere che per favore mi diano un aiuto. O per cambiare il catetere con frequenza adeguata. Rincuora un bel po' poter aver un aiuto nelle poche cose che non riesco a gestire da solo.

Oggi mi ha telefonato il medico al quale sono stato affidato dalla Samot. Ci incontreremo e conosceremo domani nel pomeriggio.