sabato 27 aprile 2013

Edificio 17A - Cose che ricordo del passato 10





Mia madre che cantava. Mi piaceva sentirla. Lo faceva spesso mentre si dedicava alle pulizie di casa. Erano sempre canzoni d'amore. Fra “Libero” e “Romantica”, canzoni di un secolo fa. Lei sicuramente avrebbe scelto “Romantica”. Cantava andando spesso in falsetto. Qualche volta stonava. Non si scoraggiava per questo. Alle volte interrompeva il suo canto per urlarci un rimprovero. Amavo sentirla cantare. Cantare. Alleggerisce l'anima durante una fatica.

Le domeniche pomeriggio degli anni cinquanta. Quando mio padre e zù Petru uscivano per ritornare carichi di scaccio. Un insieme di semi di zucca tostati e salati, noccioline americane, ceci tostati, castagne secche. Si aprivano i coppi con i diversi contenuti sul tavolo da pranzo. Stavamo intorno al tavolo a mangiare lo scaccio. Come combattevamo poi la sete? Non esisteva ancora da noi l'uso della coca-cola. Quando andava bene, mezzo bicchiere di gazzosa. O semplicemente acqua.

Il primo viaggio a Roma. Primi anni sessanta. Big era una rivista per giovani. Non ridete parliamo di cinquant'anni fa. Leggevo sia Big che la rivista concorrente Ciao amici, ma ero più affezionato alla prima che aveva lo stesso editore di Men, altra rivista che compravo allora. Big organizzò un incontro con i lettori a Roma. Con serata al Piper e un incontro concerto con Equipe 84 e Rokers. Durata del tutto un fine settimana. La cifrà non era altissima e riusci a convincere mio padre.
Anche se con un anno di ritardo, frequentavo la terza media. Sostenni gli esami di riparazione e una volta promosso partii felicissimo verso i miti giovanili.

Il sogno rivelatore. Sognai una testa di bambola, con i capelli a ciuffetti di certe bambole. Umidicci ma non attaccati fra loro. Io sull'orlo di un burrone. Pronto a fare un passo in avanti. Sotto consiglio di una psicologa chiesi timidamente a mio padre se fosse successo qualcosa di particolare durante la mia nascita. Mi disse che mia madre quando sono nato ha subito degli strappi. Cercai di immaginare il dolore che dovette provare. Da allora una cicatrice è stata impressa nella mia anima.

Zoe. Arrivava in negozio sempre imbronciata. Magari fino ad un minuto prima cantava insieme a Rita, la mamma. Appena entrava in negozio si rimpiccioliva dentro la sua carrozzina e metteva il broncio. Io iniziavo a provocarla in tutti i modi. Forse era questo che lei si aspettava. Io davanti a questa piccola peste a fare il cretino. Piano piano spuntava il sorriso che non poteva più trattenere. Usciva dalla sua torre d'avorio e aveva inizio il gioco. O davanti al computer a cantare Il Caffè della Peppina, o a chiederci che verso facesse il coccodrillo. Alle volte, invece, si giocava a rincorrerci correndo entrambi gattoni gattoni. Io a cinquantasei anni contro una Zoe di appena due anni. 

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