lunedì 27 settembre 2010

Qui è di casa




Un urlo animalesco nel cuore della notte, seguito da strepiti femminili. Non è luna piena, e non è un lupo mannaro. Sono le tre e mezza. Il teatrino notturno della tribù delle bionde è pronto a dare spettacolo.
“Ma perchè non ci si può divertire in famiglia?”.
Divertimento è sciacquettarsi nel fiume di coca che scorre alla Vucciria. Successivamente dar di matto per strada. In tre lo tengono per evitare che sbatta la testa. Lui a torso nudo e senza scarpe si dimena come in preda ad un attacco epilettico.
”Ninò” lo chiama quello che gli regge la testa. “Ninò, sangu miu, un fari accussì”. Ninò grughisce e si dimena continuamente. Parla di qualcosa che nessuno vede. Ognuna delle tre donne presenti dà indacazioni diverse su come proteggergli il capo. I quattro bambini sono scesi da casa e cominciano a scorrazzare per i vicoli. Inseguiti dalle urla delle loro rispettive madri. Ninò ha brevi pause di calma poi ricomincia a buttarsi per terra grugnendo e urlando. Dopo oltre un'ora decidono di chiamare un'ambulanza. Mentre la figlia grande, la più “allittrata”, telefona e parla con l'operatrice del... la madre le urla: “Dicci a dda pulla ca si smuvissi u culu e facissi venire l'ambulanzaaaa”. L'ambulanza parte dopo una terza telefonata. “Un ti preoccupare, ora veni l'ambulanza e nni facemu fare na gnizioni. Puru io ma fazzu fari” gli diceva Giovanni, lo stesso che prima gli reggeva la testa. Un'inezione. Ma di che?
Arrivano due infermieri insieme a due poliziotti. Ninò rivolgendosi a Giovanni: “U viri sti cammisi blu, io un'i pozzu viriri. Minchia e poi viri cu quali facci di merda su accumpagnati”.
Giovanni cercava di zittirlo ma con scarsi risultati. Poi Giovanni si allontana, all'angolo del vicolo chinando il busto e appoggiando la mano sinistra al muro inizia a vomitare. “Chi mi sentu maaaliii”. Non vomitando più spontaneamente si ficca in bocca l'indice e il medio della mano destra. “Chi mi sentu maaaliii”. La compagna accorre cominciando a chiedergli “Vuoi acqua e zuccaru? U bicaburnatu? Un limone? Chi ti portu?” e l'altro, credo più per restare al centro dell'attenzione che per un vero malore, ripeteva “Chi mi sentu maaaliii” alternandolo con “Minchia”.
“Minchia i scarpi mi futtero!!!” urla Ninò cercando di alzarsi dalla sedia per trovare le scarpe. Una delle donne và a casa ritornando poco dopo con le scarpe.
Naturalmente gli infermieri rimaserò basiti alla richiesta di una inezione da fare ai due baldi giovani. In verita Giovanni si era proposto di fare l'iniezione per solidarietà con Ninò. Li hanno fatti salire entrambi sull'ambulanza e sono andati via.
Le donne della nostra cara tribù rimaste a casa hanno naturalmente commentato l'accaduto. Sempre per strada e sempre con i ragazzini che si inseguivano urlando.
Intorno alle cinque arriva la calma.
Puntuale alle sei e mezzo suona la sveglia. Intontito faccio in automatico tutte le azioni per prepararmi prima di uscire per andare a lavorare. Incontro per strada una vicina che durante la notte avevo visto affacciata, attratta anche lei dallo spettacolo notturno. “Ma cosa è successo?” chiedo.
“Si sono ubriacati...” la interrompo guradandola negli occhi. “Non era solo alcol,” dico.
“No, vero, ubriachi erano”
“Seee”
“Allora, erano ubriachi e poi...” si porta la mano destra chiusa con il solo indice allungato sotto il naso “...e quindi. Ma un si fa accussì! Troppu, troppu!”
Mi è venuta in mente una vecchissima canzone che diceva “Si fa ma non si dice”. Qui dove scorre a fiumi. Fra uso e vendita. Qui che è di casa. Proprio qui non si nomina. Si può indicare con gesti o con altre parole.
Ma qui coca non si dice.

giovedì 9 settembre 2010

"Bastardi, vi farò fuori tutti!”




Lui è un supereroe. Dall'alto del palazzo, con il pugno sinistro alzato, pronto a lanciarsi sui malfattori. L'altro, pistola in pugno, lo costringe a scendere e posare i piedi per terra. Lo fa entrare in macchina e minacciandolo con la pistola lo fa guidare. Sorpassi spericolati. Frenate improvvise. Curve al limite del ribaltamento della macchina. Dopo cinque minuti di corsa sfrenata, al guidatore viene intimato di accostare. L'altro scende e inizia una sparatoria, non si capisce bene contro chi. Il nostro supereroe ne approfitta e si rifugia nell'ufficio postale. Qui viene inseguito e costretto ad uscire. L'altro, puntando la pistola mentre lo insegue, sussurra: “La mia vendetta sarà compiuta, non può restare impunita”. E gli spara con la sua pistola a freccette.
Incantato guardavo giocare i due bambini. La panchina trasformata ai loro occhi. Prima cima di un palazzo da dove il nostro supereroe controllava la città. Un attimo dopo era una macchina, e i ragazzini con il corpo mimavano i movimenti dell'auto. Poi diventava un muretto dietro il quale ripararsi da una mitragliata di colpi. Muretto dietro il quale il fuggitivo ripeteva: “Bastardi, vi farò fuori tutti!”. Aveva fiducia nella sua arma micidiale, quella non sbagliava mai un colpo.
Poi richiamati dalle rispettive madri i due bambini rientrarono nella realtà. Ridiventando quello che gli adulti si aspettano. Uno dei due con voce implorante chiede alla madre “Maaà, quannu m'accatti l'ipod?”.