lunedì 5 luglio 2010

Questa famiglia ariosa




Non una parola. Un ambasciatore e tre pezzi di carta. Una fotocopia di una tassa pagata, il modulo di una tassa da pagare e un assegno. Per risparmiare un quarto pezzo di carta, dietro la fotocopia il conto del “dovuto”. Cercavo aiuto, un conforto, un fratello, una sorella. Mi hanno dato il “dovuto”. Attraverso un intermediario. Per mantenere le distanze per non dare risposte, ma soldi.
E il cugino che fa da ambasciatore non sa nulla. Deve solo consegnare i pezzi di carta. “La famiglia è il bene più prezioso che hai...non dimenticarlo mai !!!”. Non è il sangue che fa famiglia ma le relazioni. Non è la consegna, da parte di un terzo, del “dovuto” che mi avvicina a mio fratello, né il silenzio, davanti un appello di aiuto, mi rende più cara mia sorella.
Siamo cocci di un vaso rotto. Irreparabilmente.
“No, non puoi rifiutare l’assegno. Faresti uno sgarbo a me.”
Poi ha il gelato in macchina, non può ascoltare la mia opinione, gli si scioglierebbe tutto lui è passato per lasciare i tre pezzi di carta e andare via. E poi il gelato starà già colando, un saluto una stretta di mano e un “ci parru io cu tò frati” non richiesto.
E questa loro famiglia mi sembra sempre più ariosa. Proprio come una camera a gas.  

sabato 3 luglio 2010

Polvere




Si rifà il manto stradale. Quasi ogni anno in questo periodo si rifà il manto stradale. Giusto giusto pochi giorni prima del Festino. Il manto stradale viene scarificato. Incidendo la superficie si crea della polvere. Polvere non molto salubre. Se il lavoro viene svolto in poco tempo, il disaggio è minimo. Non quando invece si lascia la strada scarificata per ben quattro giorni. In una via di Palermo, corso Vittorio Emanuele, diventata una strada da villaggio del far-west. Solo che da questa strada passano autobus, camion, automobili. E non rallentano. Ogni autobus, ogni auto, ogni camion alza una nuvola di polvere. Polvere che si posa ovunque. Polvere che ci costringe a tenere la porta chiusa del nostro negozio. Penso alla salumeria, al forno, ai bar, alla friggitoria. Questa polvere di asfalto scarificato che si posa su tutto cibo compreso. Penetra anche nei polmoni. Ne sentiamo il sapore in bocca. Faccio un giro di telefonate. Al comune mi dicono che devo rivolgermi all'Ufficio d'Igiene. Quando chiedo il numero di telefono mi dice che mi ha dato già l'informazione. E il numero di telefono? Non lo sa e mi invita a cercarmelo. La giornalista vuole che faccia io il suo mestiere. Scriva una lettera. La invito a fare il suo lavoro e verificare ciò che dico. Venga a vedere. Ma non è venuta. Il consigliere si nega. 
E qui continuiamo a respirare polvere. 
Alcuni di noi cominciano a buttare acqua per la strada per “scarmiri” la polvere. Ma il caldo è contro di noi. Nel giro di poco tempo ritorna tutto come prima. Un'autobotte del comune che bagni corso Vittorio è da paese civile, ma qui siamo a Palermo. Il sindaco è un certo Cammarata
Da quattro giorni una strada del centro storico viene trasformata a quella di oltre cento anni fa. Nessuno tranne qualche commerciante si indigna. Butta acqua per strada per “scarmire” anche la rabbia. Che proviene dal sentirsi suddito, in una città ai confini della realtà.

giovedì 1 luglio 2010

Per una strisciata





Stavo alzando la saracinesca del negozio. La strada alle sei del mattino è deserta. Solo il bar di fronte è aperto. Il sole colorava di rosso la strada. Un rumore di bottiglie attira la mia attenzione. Qualcuno sta spargendo per strada l’immondizia che era stata lasciata in un angolo. Guardo ma non riconosco la persona. Poi lo vedo fermarsi al bar. Lo stesso dove vado ogni mattina. Lì lo incontro. Mentre sfoglio il giornale in attesa del mio latte macchiato tiepido, inizia ad inveire contro tutti gli extracomunitari. Rumeni in testa. Sono sporchi. Tutti. Soprattutto i rumeni. Stanno insozzando Palermo. Tunisini, marocchini, zingari, rumeni. Non riesco a trattenermi e dico: “E palermitani”.
“No, i palermitani no. E poi chi c’entra! unn'è u stissu.”
Per me la munnizza è munnizza, e vedo moltissimi palermitani che lasciano il sacchetto all’angolo della strada. Con indifferenza, con un “Ops! Mi è caduto”.
Il tizio comincia a scaldarsi. Senza alcun motivo. Mi sembra un esaltato. Si offende perchè si sente paragonato da me ad un rumeno. Vuole delle scuse, non capisco per cosa. Nel frattempo con una mano mi spinge la spalla. Io mi allontano e finisco il mio latte macchiato. Esco dal bar e mi avvia verso il negozio. Lui dall’ingresso del bar comincia ad inveire contro di me.
Colorite espressioni urlate alle sei e un quarto. In una strada deserta e sempre più arrossata dal sole. Tutto un rosario di invettive. Da “Sei un pezzo di merda” passando per “Si l’ultimu omu di sta terra”.
Apro il negozio e cerco di dimenticare. Vedo il suo motorino fermarsi davanti il mio negozio. Appoggiandosi alla cassa si sporge verso di me. Urlando chiede delle scuse per non so cosa. Mentre lui sbraita guardo il monitor del computer cercando di ignorarlo. Si scalda sempre di più. Pretende che lo guardi negli occhi e gli risponda. Lo guardo un attimo negli occhi. Occhi lucidi, pupille piccolissime. Sicuramente ha iniziato la giornata con una strisciata.
“Non rispondo quando si usa questo tono” gli dico.
Sempre più eccitato mi minaccia. Cerco di non perdere la calma. Mi ci paro davanti. Lui si avvicina all’entrata del negozio e prima di andarsene mi urla:
“E quannu ma vò sucari u sai unni staiu” e se ne va.
Rimango a pensare che, primo non so dove abita. Ma so che sua madre esercita la professione più antica del mondo. E lo fa con discrezione e professionalità. Veramente.
Secondo: pur conoscendolo non mi è balenata per la testa l’idea. Proprio il conoscerlo esclude l’idea.
Terzo: perdere la testa per me, non giustifica tutto questo teatrino.
Poi ho riso ascoltando una canzoncina. Ed è iniziata un’altra giornata.