lunedì 29 marzo 2010

Lettera


non riuscendo più a mordere la vita
strani sogni con pesi diversi
mi inseguono
ma a chi importa
quando tutto è stato giocato
e si aspetta l'esito scontato
solo
con l'ansia del momento
rimettendo nel fallace contenitore
tutti i ricordi
come fossero zavorra



Ti ricordi l'ultima volta che ci siamo parlati? Io sì. Ti accompagnavo da una zia dove andavi a fare la sartina. Lungo la strada fantasticavamo su un viaggio in elicottero. Verso Genova, per andare a trovare Mariuccia. Questo più o meno quarant'anni fa. Non è che non ci siamo più rivisti, ma il nostro parlarci era a base di convenevoli.
Io non so nulla di te e così tu di me. Non sono qui a distribuire sensi di colpa. Ma a raccontare il mio punto di vista. I sensi di colpa li ho abbandonati strada facendo. Mi sono isolato per rispetto della mia dignità. Tranne l'appoggio muto di papà, in casa ero un extraterrestre. Il peso da sopportare. E sono fuggito più volte. Prima a Pisa poi Amsterdam. E da lì scrivevo due lettere pur ricevendone una. Quella con banalità spedita a casa, e quella invece in cui parlavo apertamente dei motivi della mia fuga indirizzata a papà presso l'officina dell'Amat.
Di Pino ricordo che da piccolo o mi terrorizzava o mi ricattava. Poi da adulto decisi che era pur sempre mio fratello e che non potevo allontanarlo per stupidate da bambini. E cominciai a frequentare casa sua. Ma quando i solchi fra due persone sono profondi è difficile riuscere a colmarli tutti. Nella nostra famiglia parliamo con il cibo. La mamma dimostrava il suo affetto conservandomi la cena. Pur sapendo che avrei cenato fuori. Tutte le sere per diversi anni mi faceva trovare il mio piatto sul tavolo della cucina. Pino quando andavo a trovarlo imbandiva la tavola con antipasti vari, pasta al forno, secondo, contorno e dolce. Ed era tutto quello che sapeva raccontarmi. Il resto era silenzio e banalità. O, peggio, televisione.
Ed io? Io ho vissuto per anni con sensi di colpa enormi. Che mi portavano a chinare il capo e rinchiudermi in me stesso. Ero la bocca della verità, perchè avevo qualcosa che non riuscivo a dire.
Almeno a voi. E mi faceva male. Gli estranei lo capivano e capivano i miei sguardi. Mentre in famiglia ero quello “beat”.
Quello strano, che se scrive dicendo che non è “quello beat” ma semplicemente omosessuale non riceve risposta. Oppure da un altro la riceve ma non ne vuole parlare. Lui preferiva parlare con la Madonna e seguire il suggerimento di farsi prete.
Io il consiglio lo avuto dalla vita. Avrei desiderato fare altro, non il cuoco ma studiare. Mi chiedevo, andar via da casa rendendomi indipendente o restare in famiglia e studiare? Sai quale fu la mia scelta. La strada che mi portava lontano da casa era sempre quella favorita. Fuori ero libero e respiravo a pieni polmoni. A casa ci stavo male, anche fisicamente. Mi aiutarono le letture e, molto dopo, cinque anni di psicoanalisi.
L'unico nostro collante erano i genitori. Andati via loro siamo quasi degli estranei. Voi la famiglia io l'estraneo. E di solito gli estranei non vengono coinvolti negli affari di famiglia.
Buona Pasqua a tutta la tua famiglia

lunedì 15 marzo 2010

Allora, non vuoi farti chiavare dal tuo stallone?




“Ti si legge in faccia quanto sei miserabile... Adottato e mantenuto di merda! Prova a fare la mia vita x 1 giorno, moriresti x questo ho voglia di sfondarti!”

Un abbraccio e quattro chiacchere davanti ad un pub. Forse ubriachi entrambi. Poi non ci siamo più visti. Non ricordavo nemmeno più il suo nome. Lo rividi mesi dopo. Ho difficoltà a capire quando qualcuno mi sta corteggiando. E anche allora ci misi del tempo a realizzare i suoi intenti. Veniva spesso in negozio. Si parlava del più e del meno. Un pò fuori di testa ma in fondo un bravo ragazzo. Le visite divennero sempre più frequenti fino a diventare un chiaro corteggiamento. E un giorno una richiesta esplicita:
“Vengo a casa con te?”
“No!”
“Non vuoi fare sesso con me?”
“Non mi attizzi”
“Perchè?”
Allora ho capito che non si comunicava. Cominciarono dapprima i disegni. A cera. Graffi e violenza. Lasciati da lui per me. Poi lettere con deliri e inviti. Con il numero del suo cellulare. Da usare se “avessi avuto le palle per un incontro con un uomo vero”.
Da più di un anno abita vicino al mio posto di lavoro. E sono stati mesi di appostamenti. Ancora lettere e foto. Foto sue. Lui più o meno nudo. Che offriva il suo “arnese”.
“E te lo dico non perchè mi aspetto qualcosa in cambio, ma perchè sapendolo, tu non faccia più la troia con sorrisini e ammiccamenti da lontano! Perchè la prossima volta che lo fai, ti bacio con una focosità di cui ignori l'esistenza”.
Non so come venne a conoscenza del numero del mio cellulare.
“Hai proprio un carattere di merda! Non vorrei avere a che fare con te nemmeno se mi pagassero 1000 euro al giorno! 'fanculo, me compreso”
fu il suo primo sms. E da allora ne ricevetti centinaia.
“Mi ha fatto litigare con te ieri, sono molto più sensibile di quello che credi. Solo che io non vivo nei tuoi salotti chic, ma in contesti dove devo fare il duro, il grezzo perchè altrimenti ti spezzano. Ti voglio bene”.
Al ritmo di tre quattro al giorno. All'inizio quasi divertito dai messaggi assurdi che ricevevo, dopo un poco divenne un fastidio.
“Io sono un cane bastardo sensa padrone! Tu invece mi intenerisci e mi addolcisci parecchio... un contrasto che è come una scheggia piantata nel mio cuore”.
Lui continuava malgrado più volte a voce gli avessi fatto notare il mio non interesse a leggere quelle sue frasi. L'ultima volta mi rispose mostrandomi il dito medio. Quindi decisi di cambiare scheda al cellulare. Finalmente. Ma...
Da allora lui cominciò a passare mattinate in negozio. Sfogliando giornali, telefonando con il suo cellulare. Io cerco di ignorare la sua presenza. Lui fa lo stesso con me. Ma lui è lì per me. Ed io mi sento controllato. E circondato da un delirio.
“Il pensiero che non ti avrò si stà già insinuando dentro di me, sopra le mie mani, sui miei occhi... crudelmente, dolcemente! E lo amo questo pensiero, perchè è la sola cosa che ho di te”.
Tutte le energie le spreco cercando di allontanare dei pensieri che tornano ossessivamente.
“Ti amo e mi fà male!”
Avete avuto un primo contatto, benvenuti nel delirio.

“Allora, non vuoi farti chiavare dal tuo stallone?”