lunedì 30 giugno 2008

Lezioni

Ho incontrato Peppuccio, con al seguito Killer, l'inseparabile cane. Peppuccio mi ferma prendendomi per un braccio. E inizia a parlare. Mi racconta dei rosoli, i liquori dolci, fatti dalla madre. Madre che secondo lui, io dovrei ricordare. Non si capacita che io non possa averne memoria. Killer ci osserva mentre si spulcia.
Come, non ricordi la friggitoria? Mia mamma lavorava lì”.
Ma prima di dirlo parte con una lunga e dettagliata ricostruzione del quartiere. Con tutti i negozi. Come se tutto il suo albero genealogico occupasse il territorio. Colorando con aneddoti i parenti che nominava. “Ma come? Non ricordi? Saro ' u pisciaiuolo. Iddu era me ziu, frate di me matri“. Alla fine gli dico di sì, ma non ricordo quella persona. Killer sdraiato per terra, aspetta annoiato.
I liquori dolci, sua madre, li faceva con diverse essenze. Lui sottolinea soprattutto la gradazione alcolica. Lei, allora, si vantava della varietà dei rosoli. Soprattutto di quello con le fragoline.

A lei veniva speciale!”.
A lui solo a parlare di alcol si illuminano gli occhi. Dalle varie bottiglie, lui ragazzino, furtivamente attingeva spesso. E quando la madre gli faceva notare la diminuzione del livello in alcune bottiglie, lui con gli occhi più innocenti di questo mondo rispondeva: “Mà, l'alcol evapora. Che non lo sai?”.
Ricorda la piccola forma dei biccherini da rosoli, ma lui, tiene a precisare, non li usava.

Nooo, nnu bicchieri d'un quartu vivìa”.
Mi racconta della sfida con suo zio Saro. Per Peppuccio, Saro era uno “tuttu vucca comu u granciu”, vantandosi spesso delle proprie imprese. Quel continuare a ripetere “Mi sono fatto quattro birre”, e “Minchia, lucidissimo sono” a Peppuccio rompeva e fece partire la sfida. Con alcool, alcool puro. Novanta gradi novanta. Mica cazzi! Uno di fronte all'altro. Beve Saro un sorso di quell'inferno. Quasi soffoca, diventa paonazzo e tossisce. Beve Peppuccio, mezzo bicchiere “d'un quartu”. Tranquillo si alza e rivolgendosi allo zio gli dice:

E ora un parrari cchiù!”
Ride nel raccontare l'umiliazione inflitta allo zio chiacchierone. Ricorda anche il velo di fuoco che si diffuse nel suo stomaco. Ma da quel giorno Saro gli portò rispetto. Killer si alza e si stiracchia. Forse ha intuito che siamo all'epilogo della storia.
La mamma di Peppuccio aveva imparato che l'alcool con il tempo evapora. Saro a non sfidare mai il nipote.
Killer scodinzola, allontanandosi con Peppuccio, perchè sa.
Grande maestro Peppuccio.


lunedì 23 giugno 2008

Quello che non c'è






Ho questa foto
di pura gioia
è di un bambino
con la sua pistola
che spara dritto
davanti a sé
a quello che non c'è
(Afterhours)


L'incontro con Brembi. Brembi che porta sempre, nell'angolo degli occhi, un velo di tristezza. Che è sempre lì. Anche nei momenti più allegri. In quell'angolo dei suoi occhi neri e furbetti.
Due amici si incontrano. Ed io capisco il suo sogno di volo. Mentre mi racconta di sè. Parla. Ogni tanto si illumina con un sorriso. Anche io, parlo. Ma io mi reputo noioso nei discorsi lunghi.
Un caffè dimenticato dopo uno squillo. Attraverso il telefono l'apertura di una sua ferita. Quasi una perdita di controllo. La sofferenza di non essere amato da chi ami. Il dolore che non sai come seppellire. Poi dice e non dice, nasconde lo sguardo, quasi un velo a proteggesi. Ed io lo rispetto.
In casa sua ho avuto un rigurgito. Subito riconosciuto come Milano. Perchè Milano lascia in bocca un retrogusto ferroso. Che ti porti dietro anche quando ti allontani dalla città. Dalla finestra arrivavano i cinguettii di decine di uccelli. Dopo una doccia Milano era scivolata via dal mio corpo. Gli uccellini continuavano a svolazzzare, quando noi andammo a cena.
Incantevole la luna apparsa sopra Bergamo. Inchiodata adesso in una foto. Sdolcinata, ma bella. Che riesce a commuovere anche un leone.
La polenta taragna mangiata a cena era salata. Ritornato a casa di Brembi mi sarei attaccato ad un idrante. Mi accontentai di due biccheroni d'acqua.
No, non ho avuto incubi. Non potevo. Come potevo. Ho dormito con accanto un angelo.
Inchiodata in una foto adesso la luna è uno schifo. Anche un pò sfocata.

venerdì 13 giugno 2008

Duetto




Ci avviamo verso la trattoria...
Il cuore, mettici il cuore.
Davide si è appena tagliato i capelli...
Non andare troppo sullo scontato.

Orgoglioso di dimostrare meno anni. A me sembra più vecchio, ma non glielo dico per non deprimerlo...
No, no, non ci siamo, non c'è forza.

Come al solito ancora prima di arrivare mi comunica la sua scelta. “Minchia, oggi pasta a carrettiera e ca' muddica!!!”. Io e lui sappiamo che non sarà la sua scelta definitiva. Ma facciamo finta di crederci...
Vedi, stavi ingranando e poi ti sei perso.
All'entrata nessuna insegna. Due piante ai bordi, due esemplari di rododendri assetati...
Seee.. u rododendro, u rododendro, arrivò u botanico. Scrittura. Qui parliamo di SCRITTURA, non di botanica...

Il posto si presenta pulito. Il cuoco, nel suo metro e mezzo di cucina, trita una montagna di spicchi d'aglio. Mi guarda, io accenno un saluto...
A solita frocia. Ouuuh , n
un ci nteressa !
Naturalmente, Davide si prende una fetta di arrosto panato. Lo prendo di contropiede e ordino io la mezza
carrettiera. E la birra...
Non capirai mai, i virguli i metti a muzzu. Iddu scrivi, e poi qua e là ecca i virgole.Unni vannu vannu.

Ogni ordinazione passata dal cameriere al cuoco termina con “Sciupì”. Con un po' di sfacciataggine chiedo. “Sciupì è il nome del cuoco”. Mi risponde il cameriere indicandolo... Totò, qui Sciupì non interessa a nessuno. L'anima devi tirare fuori quella fottutissima anima. Se c'è!?
La cucina è a vista. Ogni tanto osservo cosa e come cucina Sciupì. Come butta quei fili rigidi di pasta...
Fermati! No, brodo primordiale NON LO DEVI USARE. Non cominciamo col caleidoscopico e minchiate del genere. Tu non parli così. Non sono parole tue.

L'irresistibile gesto del cuoco nell'assaggiare il condimento portandolo con un dito alla bocca. La pasta con una spolverata di muddica atturrata è eccezionale...
La cucina, la cucina non trattarla, è un campo minato. Lascia stare, non sei pronto. Si vede che per te è ancora presto per parlarne.

Anche Sciupì è rasato di fresco. La sua nuca è veramente affascinante.
Mentre divoro la pasta, ogni tanto lo guardo. Davide mi dice che è tunisino. Ha occhi nerissimi e grandi. Me ne potrei innamorare...
Levaci manu Totò, unn'è cosa. Si' lagnusu! Ma tu liggisti Leopardi... e La versione di Barney? Nenti, si' lagnusu.
Volevo un sogno a cui aggrapparmi, e solo fragili liane a reggere il tempo
avevo un cuore puro fattosi cupo per mancanza di coraggio...
A finemo ccà? Finemula ccà! Ciao Totò!


lunedì 9 giugno 2008

L'ultimo pianto di Sandro


Iu m'a spirugghiu!”
Minchia, me le sarei rimangiate quelle quattro parole subito dopo averle dette. Ma ormai era fatta. Legato a quelle parole dovevo trovare il modo di uscirne a testa alta. Rimisi nel marsupio la chiave della “mia” nuova casa. E andai via, da solo. A vivere da solo. Quella chiave la mia forza, la mia indipendenza. Poco altro nel marsupio. Fazzolettini di carta, un preservativo e un portachiavi con Bart. Quello dei Simpson. Un piccolo spaccata della mia vita.
Poi in tre mi bloccano per strada. Mi fanno scendere dal mio vespino.
Nulla di prezioso da difendere, ma il mio marsupio non lo mollavo. C'era parte della mia dignità in gioco. Buttato per terra, guardavo di sbieco il mio vespino grigio. E loro, sbucati quasi dal nulla ad aggredirmi. Una spinta. Un'altra. Un cazzotto e io per terra. Un calcio sferrato al mio fianco. Faceva male. Non mollavo però. Cazzo, se faceva male. Ma non mollavo la presa. Era doloroso respirare. E l'unico pensiero era “Il marsupio no... Il marsupio no...”. Ma loro stavano avendo la meglio. Il dolore alle costole era insopportabile.
Se non fossi uscito non sarebbe successo. Se mi fossi ritirato prima non li avrei incontrati. Ma quello che doveva succedere era già successo. Fossi stato solo avrei pianto. Ma ora no, non potevo arrendermi. No, adesso no! Piegato in due per terra, e quei tre che infierivano su di me.

Placida notte e verecondo raggio della cadente luna”,
mentre mi aggrediscono disteso per terra cominciavo a delirare. Profetico delirio poetico .

E tu che spunti
fra la tacita selva in sù la rupe
nunzio del giorno; ...”
Intervieni. Intervenne e i tre si diedero alla fuga. Una guardia giurata di servizio nell'ufficio postale. Mi aiutò a rialzarmi. Feci uno sforzo enorme solo per pronunciare “grazie”. E solo allora allentai la presa delle mie mani che stringevano il marsupio. E mentre mi allontanavo tirai fuori Bart con le chiavi. Li strinsi nella mano destra. Avvicinai il pugno alle mie labbra. E iniziai a piangere.