domenica 25 agosto 2013

Edificio 17A - Il lungo sonno


Non so cosa sia successo. Sono andato via con la testa. Troppo fentanil, che è più potente della morfina. Quanto potente? Cento volte di più. Forse le due sostanze si sono incontrate e accumulate . Nessuno sa darmi spiegazioni. Nessuno. Tutti a preoccuparsi per me. Tutti a controllare che io fossi sveglio. Ricordo: l'incontro con una strana persona. Un'assemblea. Un gatto che girava su se stesso. Il nulla. Mi venivano in mente: l'immagine di mio fratello seduto sulla poltrona che c'è in camera. Mi parlavano anche Claudia e Filippo. Filippo che ho voluto abbracciare, che cercavo continuamente. Avrei voluto alzarmi. Ma tutti, compreso Giuseppe l'infermiere, anche lui presente nella stanza, si opponevano. Solo alle venti sono riuscito ad alzarmi. Ho mangiucchiato qualcosa. Mio fratello va via insieme a Filippo. Filippo per dare da mangiare a Giuggiola e Santino, i nostri due mici. Poi ritorna. Sempre accompagnato da Pino in macchina. Anche Claudia se ne torna a casa. Resto da solo con Filippo. Apro il Gohonzon. Faccio fatica a concludere la preghiera. Mi metto a scrivere queste note con continui flash. Non capisco se sono fatti realmente accaduti o sono cose che ho sognato in questi giorni. Interrompono la scrittura. Riprendo non riuscendo a capire del tutto. In fondo, questo mi ha spinto a fare cinque anni di analisi. Solo che adesso è diverso. Non mi fa più paura. Posso affrontarlo. Vivo battagliando continuamente. Se vinco o perdo è secondario. L'importante è come vivo questo. Io cerco di viverle da vero guerriero.

Palermo, 25 agosto 2013

Il lungo sonno è l'ultimo capitolo che Salvatore, mio compagno di vita per tredici anni, mi ha chiesto di rivedere prima che il veloce progredire della malattia mettesse fine a questa avventura letteraria. Un diario di vitalità e una testimonianza di dignità che merita una conclusione, sia pure non scritta dal suo autore principale.
Salvatore nella sua vita è stato mille cose. Tutte diverse. Ma non si è mai pianto addosso. Non più di cinque minuti, almeno. Non parlerò, per questo, del suo rapido declino, ma di quella luce che fino all'ultimo ha continuato a rischiarare quanti erano vicino a lui, nonostante la fine del viaggio fosse ormai vicina. Con questo diario, Salvatore ha mostrato a tutti il vero significato della parola resistenza, e l'inarrestabile forza di una creatività che non si arrende neppure davanti alla disfatta. Salvatore ha comunque vinto sulla malattia. Facendole le boccacce, osservandola, e crescendo in umanità fino all'ultimo giorno a dispetto di tutto. Guardandosi indietro, non poteva essere che così. Una mente come la sua, un cuore come il suo, che tanto hanno dato alla città di Palermo, vivono in queste pagine come in ogni iniziativa presa in una vita vissuta intensamente come pochi sono riusciti a fare.
Un guerriero del quotidiano, e un uomo capace di suscitare esplosioni artistiche in tutti coloro che lo avvicinavano, come un allegro contagio. Salvatore è stato questo: un meraviglioso catalizzatore di vita. Ci auguriamo tutti che continui a esserlo per quanti lo hanno conosciuto attraverso queste pagine.
Saluto l'amore della mia vita, il mio migliore amico, con una delle più note poesie di Eugenio Montale. Parole appropriate per una persona immensa come lui.

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

lunedì 19 agosto 2013

Edificio 17A – Chi ha paura della morfina?




Non digerivo il Targin. Pillole a base di morfina. Lo hanno sostituito con un cerotto da 35 mg, sempre morfina, ma assunta in modo diverso. Il cerotto viene tenuto tre giorni e poi si cambia. Prima settimana, due sostituzioni. Ma nulla cambia. I dolori non diminuiscono. Allora non più uno. Due cerotti, con dose aumentata 52 mg. Un'altra settimana con due cerotti. Ma sembra che la morfina ed io non andiamo d'accordo. Il dottore dice che avendo avuto spesso la febbre con conseguente sudorazione, questo potrebbe influire sull'assorbimento del farmaco. Non lo so, potrebbe pure avere ragione lui. Ma io comunque non ho avuto nessun beneficio. Morfina, e molti pensano ad una persona ormai agli sgoccioli. Penso che non sia così. A me non fa paura. Anzi direi che mi ha deluso. Mi aspettavo chissà quale effetto, invece nulla di nulla. Assumo un mix di pillole a base di oppiacei e adesso anche morfina. Un tossico senza nessuno sballo. Una fregatura. Oggi mi hanno cambiato i cerotti. E siamo a tre. Hanno aumentato ancora. Tre cerotti. Non ho chiesto nemmeno a quanti milligrammi siamo arrivati. Sono abbullato con tre cerotti. Due sulle braccia e uno sul petto. Meno male che non c'è nessuna scritta. Potrei sembrare sponsorizzato da qualche ditta.
Dopo pranzo, appanzato, mi è venuta voglia di distendermi sul letto. Mi prendo un volume di Tank Girl e disteso inizio a leggere. Carino. Dopo poche pagine il mio ano comincia a farsi sentire. Come se mi girassero un peperoncino al suo interno. Poi fitte e dolore. E ancora, scariche elettriche alla caviglia. Devo alzarmi. Il dolore aumenta. E quel cazzo di morfina che fa? Nulla.
No, bisogna aspettare qualche giorno” mi dice Nina, un'infermiera. Ma come qualche giorno? Intanto, quindi, sono scoperto?
Allora, per calmare il dolore si ricorre ad un'altra pillola della quale non ricordo mai il nome. Io gli chiedo l'estintore deformando il vero nome. Santa pillolina che si scioglie sotto la lingua. Amara come un cardo selvatico. Ma meglio questo gusto amaro che sopportare il dolore. L'effetto è abbastanza veloce, nel giro di dieci quindici minuti il dolore comincia a scemare fino a scomparire del tutto. Sarà una bomba di una di quelle sostanza che fuori sono definite droghe.
Il pomeriggio può continuare senza dolore. Questo mi basta.


domenica 18 agosto 2013

Edificio 17A – La Rossa


La Rossa. Che io chiamo strega. Rossa per i capelli color rame. Ma il suo nome vero è un altro. Lei affettuosa con me, sempre. Anche quando la minaccio che come una strega finirà su un rogo. Rogo che gli dico organizzerò nello spiazzo davanti la finestra. Lei sorride e mi bacia. Ripetutamente. Mi abbraccia e mi dà pizzicotti. Come ho conosciuto la Rossa? In negozio. Non ricordo bene la prima volta che è venuta. Lei è apparsa e basta. Veniva spesso in negozio, si scherzava, andavamo insieme al bar a gustarci un caffè. Poi lei si sfogliava tutti giornali di gossip. Se li gustava entusiasta del nuovo fidanzamento o di qualche lite fra personaggi a me completamente sconosciuti. Personaggi che lei conosceva benissimo, meravigliandosi della mia totale ignoranza.
Quando la voglio fare indiavolare, la prendo in giro per come cucina. Le ricordo dei piatti che prepara. Una volta, gentilmente, mi chiese se gradivo la pasta con i tenerumi. Le dissi di sì. Lei si presentò una sera con un contenitore pieno. Appena li versai in un pentolino mi accorsi che le foglie erano state lasciate intere. Le chiesi se lei li avesse mangiati con forchetta e coltello. Lei si arrabbiò. Ed era quello che volevo. Ho scolato i tenerumi e tagliato le foglie. Comunque, la pasta, alla fine, era buona.
La Rossa, che se non può venire mi chiama al telefono. Mi chiama “Sarvuccio mio” e parliamo a lungo. Quasi un abbraccio via cellulare.
La mia Rossa è una vera strega. Che conquista i cuori di tutti. Per un motivo o l'altro. Lei, sexy, che veste spesso con abiti che potremmo definire vintage che aumentano la sua bellezza.
Una strega che ha conquistato il mio cuore. Sì, prima o poi la metterò su un grande rogo. Proprio davanti la mia finestra. Accenderò il fuoco. Poi salirò nella mia stanza ad assistere allo spettacolo. Maledetta strega rossa.







Foto di Sade

sabato 17 agosto 2013

Edificio 17A – Un viaggio nel nulla


Quasi come morire. Piano piano, me ne vado. All'inizio con una sensazione di freddo. Poi sopravviene una leggera sonnolenza. Che non è proprio sonno. Un rilassamento. Un andarsene senza controllo. Non dormire. Perdere il controllo sapendo di non poter reagire. Allora mi lascio andare. Senza forza. Poi sparisco. Non ci sono più. Sopravviene la febbre. Con conseguenti sogni. Sogni? In verità dei loop dai quali non riesco ad uscire. Vicoli conosciuti trasformati in posti pericolosi. Mi aggiro cercando di evitare trappole e persone sospette. Atz, tiz, tranz, pinc... tu vuoi, traz, menz, conzx, con me... tza ti sorprenderò, mixz, triz... Mio fratello entra nel portone attratto da un volantino con quelle strane e per me insignificanti parole. Io tento di convincerlo a non entrare. Lo vorrei salvare. Lui insiste ed entra. Continuo a camminare per i vicoli. La febbre arriva quasi a quaranta. Il delirio è a portata di mano. Poi delle voci mi circondano. Io continuo a vedere stradine strette. La sensazione di freddo è sgradevole. In testa, all'inguine. Sono borse di ghiaccio per far scendere la febbre. Cerco di allontanarle, ma insistono. Cedo, alla fine mi arrendo. Due infermieri trafficano intorno al mio corpo. Lo girano. Chiedono la mia collaborazione. Con fatica enorme faccio quello che chiedono. Mi spogliano completamente, dopo mi puliscono. Il sacchetto della colostomia è aperto e sono sporco di feci. Elena e Antonia, le due infermiere che se ne stanno occupando, mi parlano. Ma io sono ancora fuori di testa. Dopo un bel po' riesco a ritornare. A rispondere e collaborare con loro. Anche a fare qualche battuta. Come un bambino mi lascio andare. Come un bambino vengo trattato. Mi cambiano il pannolone. Sto tornando in me dopo un lungo viaggio nel nulla. Dopo che la mia mente si era dissolta e io non c'ero più. Rientro e divento consapevole. Il viaggio finalmente è terminato. Nudo disteso sul letto, con sacchetti di ghiaccio che fanno girare sul mio corpo. Ma ci sono ancora.

Salvatore è tornato. 

venerdì 16 agosto 2013

Edificio 17A – Dr. Jekyll e Mr. Hyde



Negli ultimi tre giorni ho avuto diversi attacchi di dolore. Dolore che si sposta di zona e cambia come intensità. Gli ultimi partono dall'ano e poi si diffondono alle cosce. Il tutto accompagnato da febbre che va da trentotto e mezzo a trentanove. E qui perdo la testa. Ricordo poco di quello che dico e faccio. Filippo subisce questo cambiamento. Divento una pila elettrica. Non sopporto di essere sostenuto e lo spingo malamente. Quando la febbre non mi permette di alzarmi, Filippo mi imbocca con le pillole. Anche in questo caso comincio a inveire contro di lui prendendolo a parolacce come se mi desse del veleno. Non tutto resta nella mia memoria. Avviene una trasformazione. Durante gli attacchi non sono più il solito Salvatore, non riesco a controllarmi. Come se andassi in blackout. Come se dentro di me ci fosse un altro. La trasformazione prende di mira Filippo. Che fortunatamente è comprensivo e capisce che sono fuori di testa. Non so come farei senza di lui. Quando lui mi racconta come lo tratto, provo un senso di profonda vergogna. Mi riprometto ogni volta che la prossima mi controllerò ed eviterò di trattarlo male. Ma nella trasformazione dimentico tutto e ricomincio. Con tutto ciò, dopo lui mi consola e mi abbraccia. Come non fosse successo nulla. Con una pazienza ammirevole.







mercoledì 14 agosto 2013

Edificio 17A – Menu pranzo



Risotto primavera
Scaloppine al limone
Purea di patate
Acqua
Yogurt
Succo di pesca

Non vi lasciate ingannare da ciò che pensate. Scordatevelo. Ora analizzerò i vari piatti e così capirete cosa intendo.
Allora abbiamo questa ditta che si chiama COT che fornisce tutto l'Ospedale Civico e non solo. Un giro di affari enorme grazie al fatto che per molte cose, compreso il cibo, viene dato in appalto a ditte esterne. Che naturalmente partecipano ai bandi al ribasso. Cioè chi offre la stessa prestazione al minor prezzo. Ovviamente a scapito della qualità. Lasciando perdere tutti i “traffici” fatti per vincere l'appalto. Non sono sicuro, ma gira voce che per ogni paziente la Regione paga intorno ai dodici euro.
Risotto primavera. Ingredienti: riso, insalata russa (?), funghi in scatola, pomodoro, prezzemolo, olio. Non capisco cosa si intende per insalata russa. Voi sì? Risotto, ma si presenta come una minestra. Molto brodoso. Cinque piselli galleggiano insieme ad altre verdure... indistinguibili. Dichiarano che è presente anche dell'olio, ma non si vede né si sente. A vederlo e mangiarlo sembra più un riso in brodo con pomodoro.
Scaloppine al limone: un'unica fetta spessa di carne che riempie il fondo del piattino di plastica. Non cercate di trovare il sapore di limone, non lo troverete. Il liquido dove si trova immersa la carne è del tutto insapore. Sembra acqua sporca. Mangiamo con le posate di plastica. Al primo tentativo di tagliare la pseudoscaloppina, la forchetta si spezza in due. Prendo le mie posate di acciaio. Trovo ancora difficoltà a tagliare un pezzetto di carne. Metto il pezzo di carne in bocca. Avete mai provato a masticare la plastica. E' più morbida. Sputata.
Purea di Patate: patate in fiocchi, olio, formaggio, latte, sale. Ora... dico io, anche con questi semplici ingredienti si potrebbe ottenere qualcosa che bene o male sia mangiabile. Invece è una crema che non ha nessun sapore. Ma proprio nessuno.
Acqua: una bottiglia da un litro e mezzo. Ma come? Tutti, ma proprio tutti consigliano di bere almeno due litri di acqua al giorno. Loro invece vanno al risparmio. Infatti sono costretto a farmi portare un'altra bottiglia di acqua ogni giorno perché per me è insufficiente quella che passano.
Yogurt: un vasetto da centoventicinque ml. Alla frutta frullata. Il più scarso yogurt che io abbia mai mangiato. Una sconosciutissima marca Bergamin di Tivoli.
Succo di frutta: una bottiglietta, anche questa da centoventicinque ml. Un normale bicchiere contiene duecento ml. Ciò vuol dire che una bottiglietta è poco più di due sorsi. Volendo, al posto del succo si può scegliere della frutta fresca. Qualche volta l'ho presa, ma anche quella è immangiabile. Quattro giorni fa mi hanno dato una noce pesca. Al tatto aveva la consistenza di una pietra. Oggi ho dovuto buttarla perché era diventata una cosa molle e fradicia.
Cosa sono riuscito a mangiare? Solo il riso. Come una punizione.


martedì 13 agosto 2013

Edificio 17A – Di inganni notturni


Tre e trenta di notte. Mi sveglio con una puzzetta sotto il naso. Controllo il sacchetto della colostomia. Sembra tutto a posto. So che devo stare sempre all'erta. La puzzetta indica spesso che la parte adesiva del sacchetto in qualche modo lascia uscire aria. Con le mani cerco la “falla”, ma mi sembra tutto a posto. Filippo mi sente trafficare si alza e mi conferma la puzzetta. Gli dico che è tutto a posto. Ci tranquillizziamo entrambi e si torna a dormire. Intorno alle cinque una macchia nella maglietta bianca mi indica che si è aperta la “falla” che non riuscivo a trovare con il tatto. Allora mi alzo. E' successo. Si è aperto il sacchetto. Quindi pulizia e cambio. Finita l'operazione a questo punto mi vado a prendere un caffè. Mi vado a sedere sui soliti gradini della scala di emergenza. In fondo, verso il mare, il cielo è rosa. L'alba è vicina. In fondo vedo due insetti. Danzano intorno alla luce di un lampione. Li scambio all'inizio per due lucciole, e mi torna in mente l'ultima volta che le ho viste. Ero a San Giuseppe. Nella casa in campagna che avevamo con Boris. Volavano in gruppo attorno a un cespuglio di citronella. Per me era la prima volta che le vedevo. Rimasi incantato. Mentrre loro sembravano rincorrersi al buio. Oggi sono solo due. Si rincorrono sotto la luce. Le riguardo meglio. No, non sono lucciole. Il riflesso le illumina in modo da illudermi.
Devo stare più attento. Alle volte la prima impressione può essere illusoria. Due esempi in una notte di come la mente, la mia almeno, si lascia ingannare molto facilmente.

P.s.


Naturalmente non c'è due senza tre. Avevo preso il caffè prima di andarmi a sedere fuori. Poi rientro per scrivere questa nota. Filippo mi porta un caffè. Lo scambio per quello che avevo preso e ci spengo la sigaretta che stavo fumando mentre scrivevo.