mercoledì 7 agosto 2013

Edificio 17A – Il mare


[Disegno di Chiara Mazzola]



Vieni a vedere il mio mare
io lo tengo nel cassetto.
Una conchiglia, due stelle
tre gocce di mare blu
un cavalluccio marino
e un sasso colore del sol
una manciata di sabbia...
...Cantava Milva, in una vecchia canzone del 1961. Il mare a me, invece, lo hanno portato dentro due bottiglie. Conchiglia, sabbia e collanina marinara comprese. L'incredibile Piero è stato l'artefice di questo montaggio. Il mare rinchiuso in una bacinella blu con in fondo una conchiglia. Accanto la sabbia ancora umida chiusa in un contenitore per gelati. La crema solare come al mio solito l'ho rifiutata. Odio le creme, gli oli solari e tutto ciò che unge. Sì, è stato un attimo, ed ero al mare. E facevo ciaff ciaff con i piedi dentro la bacinella blu. Le foto di rito. Che vai a mare e non ti fai una foto da mostrare agli amici su facebook? E foto sia. Piero mi massaggia i piedi e mi riconduce al mare finto, e nello steso tempo, vero che ha portato per me.
Smontato il set ci ridiamo un po' su. E' quello che succede sempre quando si fanno gesti poetici.



http://youtu.be/dzI9Hk7HyP0






2 commenti:

Unknown ha detto...

Ero meno di un bambino, avrò avuto cinque anni, o giù di lì, l'estate la trascorrevamo a casa dei nonni paterni, a Carini, avevano una villetta a monte dell'autostrada più o meno all'altezza del Bioparco (che allora era una distesa di carciofi). Si stava là, tutta la famiglia, di sei fratelli di papà, cinque compresi noi stavamo a casa dei nonni. Il sesto no, lui era ricco. La casa era piccola, eppure quelle cinque famiglie trovavano un posto in cui dormire, il mio giaciglio era su un'asse di legno distesa su due sedie, lo ricordo ancora a distanza di quaranta e più anni. Andavamo a mare, noi bambini, con la sorella di papà, giovanissima e signorina (ora si direbbe single) e una delle cognate a turno. Attraversavamo un sottopassaggio sotto il ciglio autostradale e ecco la spiaggia, il mare. C'era un canneto e nonno tagliava quelle più lunghe e improvvisava canne per la pesca da fermo. Non prendevamo nulla, ovviamente, ma era un momento esaltante: "Sta mangiando, nonno?" - "No" - "Ma sento qualcosa muoversi..." - "E' la corrente!", diceva. La cosa che mi faceva davvero impazzire erano le pietre galleggianti. "Zia Erina, quelle pietre galleggiano!". Era pomice, pietra vulcanica, mi spiegò zio Enzo, il fidanzato della zia Erina, chimico e pertanto intellettuale. Zio Enzo aveva il compito di condire l'insalata, chissà perché, forse perché era chimico? Mi svelava misteri affascinanti, del tipo che tutto è formato da molecole. Anche la pece, che abbondava su quelle coste; non credo per via dell'inquinamento ma per le correnti che spingevano sin da noi il catrame di Stromboli immagino. E la pietra pomice la usavamo per pulire i piedi da quella sostanza oleastra e appiccicosa. Erano estati meravigliose. Io andavo a caccia di lucertole con le spighe legate a cappio, insieme al nonno materno, che mi raccontava storie di mare. Lui era stato marinaio e aveva fatto più volte il giro del mondo a bordo di lunghissime petroliere. Mi parlava di Sandokan e del Corsaro Nero. Originario dell'isola d'Elba mi diceva che lui sull'isola di Montecristo c'era stato ma di tesori non aveva trovati. Poi è arrivato il benessere, e ognuno s'è fatto la villa a mare, e così niente più estati circondato da zii, cugini e nonni. Lo zio Enzo però condisce ancora l'insalata, solo che lo fa a casa sua...

Unknown ha detto...

Ero meno di un bambino, avrò avuto cinque anni, o giù di lì, l'estate la trascorrevamo a casa dei nonni paterni, a Carini, avevano una villetta a monte dell'autostrada più o meno all'altezza del Bioparco (che allora era una distesa di carciofi). Si stava là, tutta la famiglia, di sei fratelli di papà, cinque compresi noi stavamo a casa dei nonni. Il sesto no, lui era ricco. La casa era piccola, eppure quelle cinque famiglie trovavano un posto in cui dormire, il mio giaciglio era su un'asse di legno distesa su due sedie, lo ricordo ancora a distanza di quaranta e più anni. Andavamo a mare, noi bambini, con la sorella di papà, giovanissima e signorina (ora si direbbe single) e una delle cognate a turno. Attraversavamo un sottopassaggio sotto il ciglio autostradale e ecco la spiaggia, il mare. C'era un canneto e nonno tagliava quelle più lunghe e improvvisava canne per la pesca da fermo. Non prendevamo nulla, ovviamente, ma era un momento esaltante: "Sta mangiando, nonno?" - "No" - "Ma sento qualcosa muoversi..." - "E' la corrente!", diceva. La cosa che mi faceva davvero impazzire erano le pietre galleggianti. "Zia Erina, quelle pietre galleggiano!". Era pomice, pietra vulcanica, mi spiegò zio Enzo, il fidanzato della zia Erina, chimico e pertanto intellettuale. Zio Enzo aveva il compito di condire l'insalata, chissà perché, forse perché era chimico? Mi svelava misteri affascinanti, del tipo che tutto è formato da molecole. Anche la pece, che abbondava su quelle coste; non credo per via dell'inquinamento ma per le correnti che spingevano sin da noi il catrame di Stromboli immagino. E la pietra pomice la usavamo per pulire i piedi da quella sostanza oleastra e appiccicosa. Erano estati meravigliose. Io andavo a caccia di lucertole con le spighe legate a cappio, insieme al nonno materno, che mi raccontava storie di mare. Lui era stato marinaio e aveva fatto più volte il giro del mondo a bordo di lunghissime petroliere. Mi parlava di Sandokan e del Corsaro Nero. Originario dell'isola d'Elba mi diceva che lui sull'isola di Montecristo c'era stato ma di tesori non aveva trovati. Poi è arrivato il benessere, e ognuno s'è fatto la villa a mare, e così niente più estati circondato da zii, cugini e nonni. Lo zio Enzo però condisce ancora l'insalata, solo che lo fa a casa sua...