martedì 4 maggio 2010

Tre carte da mille e una da duemila lire




Tre carte da mille e una da duemila lire. Lui aveva parlato di offerta libera. Io mi ero fatto i conti in tasca. E venne fuori quella cifra. L'avevo incontrato seduto su una panchina della villa Giulia. Dopo un suo cenno di saluto, mi sono seduto accanto a lui. I suoi baffi brizzolati scintillavano alla luce del sole. Ci scambiamo qualche battuta. Di dove sei? Quanti anni hai? Quindi lui va subito al sodo. Mi dice che ha bisogno di soldi. Sorride ammiccante. Io resto in silenzio. Non so che decidere. Poi mi giro verso di lui e contrariamente a quello che pensavo dico: “Va bene, andiamo”.
Diretti a casa sua. Camminando in silenzio. Unico scambio di parole per dirmi di entrare nel portone dopo di lui, non insieme. Il portone era di ferro e tutto quanto arruginito. Senza toppa. Appena entrati, sulla sinistra, una enorme scritta tracciata con vernice rossa come benvenuto: “SUCA”.
I gradini per arrivare al primo piano pieni di rifiuti. Cicche, involucri di merendine, mucchi di polvere, uno scarafaggio morto, lattine di coca, pacchetti di sigarette vuoti.
All'interno della casa pochi mobili un materasso ad una piazza buttato per terra, nella seconda stanza un letto matrimoniale. Su una parete della seconda stanza una montagna di coperte e vestiti accatastati quasi fino al tetto.
Lui si spoglia e si sdraia sul materasso per terra. Io mi metto accanto a lui. Tutto si svolge in silenzio. Alla fine mi indica un lavandino in cucina dove sciacquarmi. Ma non c'è nulla per asciugarsi. Lui gira per casa con un enorme telo bianco avvolto intorno alla vita. Mentre mi vesto mi chiede cosa pensassi della “prestazione”. Si allontana un attimo per controllare della biancheria stesa fuori sul balcone. Io ne approfitto e mi preparo i soldi da dargli. Lui prende da una mensola una bottiglia di alcol denaturato e se lo spruzza prima nelle mani e poi sul petto. Appena sono vestito mi si para davanti. Mi sorride e inclina la testa. Come a dire: “Quanto mi dai?”. La sua presenza andava bene, la sua ”prestazione” un pò meno. Cinquemila. Lui mi fa capire che gli sembrano pochi. Mi bacia sulla guancia e mi accompagna alla porta.
Minchia! Appena fuori sono colpito prima da un senso di colpa enorme. Poi avvilimento. Io ho pagato per fare sesso con un uomo. Sentivo la vergogna tutta mia.
Però, però tornai diverse volte a sedermi su quella panchina della villa Giulia. Come un assassino ritornai più volte sul luogo del delitto. Sperando di incontralo ancora. Capendo alla fine il motivo del ritorno. Si spera che rivivendo l'episodio si possa apportare qualche modifica. Poter cambiare il finale. Speranza vana ma dura a morire.
Il rospo rimase una decina di giorni, prima di essere completamente disciolto e digerito. Per trasformarsi negli anni in un' esperienza visssuta da poter raccontare.

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