sabato 10 febbraio 2007

Testa rutta quantu sta?

Il cambiamento non so a quando risale, né ho ricordi. C'è stato un periodo, diciamo fino a dieci anni, che ero un po' irruento e aggressivo. A scuola mio padre riceveva il classico “è intelligente, ma non si applica”. Il fatto che non mi applicavo, già allora, mi sembrava una cagata. Avrebbero dovuto dire “cerchiamo di fare del nostro meglio, ma non riusciamo a catturare l'attenzione di suo figlio”. Alla faccia di chi oggi dice che dagli anni cinquanta la scuola era in mano ai comunisti, a me sembrava una succursale della parrocchia. Immaginette di santi sparsi in tutti i corridoi, e naturalmente un crocifisso in tutte le classi. Nel cortile della scuola vi era anche una statuetta della Madonna di Lourdes. Ci facevano fare il segno della croce all'inizio e alla fine delle ore di lezione. Ci facevano pure cantare, ma “Bella ciao” l'ho conosciuta alle scuole medie. Qui, alle elementari, era un tripudio di canti sulla Vergine, Santa Caterina (“era figlia di un reee...”), fino a “Tu scendi dalle stelle”.

Alla quinta classe avevo un Signor Maestro che era - di aspetto - un incrocio fra Stalin e Hitler. Quando si sedeva dietro la cattedra apriva un cassetto chiuso a chiave e tirava fuori due oggetti temutissimi da noi scolari: il registro e una bacchetta di legno spessa due dita e lunga una trentina di centimetri. Il primo, bene o male, sapevo domarlo in qualche modo. La seconda, una volta, fu fatale e mi ruppe la testa. Ma non fece tanto male quanto il commento di mia madre appena arrivato a casa “U maistru ti rumpiu a testa? Bonu fici!”. Poi girandosi verso sua madre le disse “Maaa! Testa rutta quantu sta?”.







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