Santo,
il figlio del maresciallo Piazzese, mi dava lezioni d'inglese. In una
caldissima estate in una veranda. Con dibattiti sulla pronuncia. Io
ascoltavo attentamente la pronuncia dei Beatles. Quella ripetevo,
quella era corretta. Invece lui sosteneva di no. Lui aveva studiato.
Io ero alle prime armi. Qualche volta chinavo il capo e accettavo la
sua versione. Qualche volta.
In
casa c'era uno stanzino. Utilizzato come ripostiglio. C'era anche un
tavolino con tre, quattro sedie. E tutt'intorno scatole di scarpe,
detersivi, secchi e stracci. Noi bambini, lì, ci giocavamo.
Costruivamo mondi con tante avventure. La finestrella diventava
l'oblò del razzo sul quale volavamo verso un altro pianeta. O
c'era il battesimo di una qualche nuova bambolina, vestita per
l'occasione con un abitino di tulle fatto da noi. La fantasia non
mancava.
Oggi
le cose sono cambiate, ma quando Franco Battiato eseguì il suo
“Zà” al Punto Rosso non c'erano le folle oceaniche.
Franco venne ospite a casa mia insieme al maestro Giusto Pio e
consorte. Mia madre e mio padre erano, come al solito, a New York da
mia sorella. Io ne approfittai per ospitare i musicisti. Così
nel loro letto dormirono violinista e moglie. Franco si adattò
a dormire sul divano letto. Siamo stati insieme quasi tre giorni. La
cosa che più mi colpì furono le sue conversazioni e
l'unico, ossessivo argomento: la musica. Non parlò altro che
di musica. Fino alla nausea.
Come
si aprivano le cinquecento? Con una chiavetta, utilizzata per aprire
la carne in scatola. Con la stessa si avviava il motore. Cose
imparate dai ragazzi del carcere minorile di Milano. Gianfranco, un
altro obiettore di coscienza, era partito ed aveva lasciato la sua
cinquecento. Una sera la tentazione fu enorme, mi procurai la
chiavetta, e andai a farmi un giro per Milano. Con una certa ansia.
Ma il giro lo feci.
Con
un ingranditore per foto di scarsa qualità mi dilettavo a
stampare foto in bianco e nero. Lavoravo nel ristorante Il Rustico
fra Migliarino Pisano e Viareggio. Io e un altro cuoco abitavamo in
un appartamento messo a disposizione dal ristorante. Nella mia stanza
impressionavo la carta fotografica e sviluppavo. Mettevo un disco di
Tenco e lo usavo come cronometro. I risultati non erano esaltanti ma
mi piaceva questa cosa misteriosa di vedere emergere una foto da un
foglio di carta bianca. Poi, visti i risultati, decisi era meglio
fermarsi lì.
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