Paolo,
Gianfranco ed io eravamo stati emarginati
in via De Castillia. Per
me
e Paolo una punizione per allontanarci e isolarci dalla
Comunità.
Viste
le nostre idee non in linea con tutto il gruppo. Eravamo
già
da
molti
mesi
al
lavoro
come obiettori al servizio militare con don Gino. L'allontanamento
non
ci scoraggiò.
Iniziammo
coinvolgendo alcuni ragazzi della
Comunità.
Cercando
di insegnare loro quello che noi avevamo
imparato
da poco. Facevamo lavori in pelle. Fermacapelli, cinture, borse e
altre cento cose. Poi si cercava di venderle. Paolo aveva molta
creatività. Inventava
modelli nuovi e poi ce li proponeva. Per
rifarli.
Alla
fine del servizio civile, a Paolo rimase una valigia fatta da lui.
Sembrava una di quelle borse da viaggio usata spesso nei film
western. A me rimase un borsello molto semplice e un paio di cinture
per i pantaloni. Il tutto usato per diversi anni. Piccoli e unici
souvenir.
Veniva
quasi tutti i giorni in negozio. Prendevamo il caffè insieme. Lui mi
confidava i suoi problemi con la moglie. E anche altro. Un omone con
un animo gentile. In cerca di affetto. Torturato dalla sua fede
cattolica. Avrebbe lasciato la moglie, ma per la sua fede il
matrimonio era indissolubile. Quindi rifiutava di potersi rifare una
vita, magari meno infelice. Un giorno mi confido che visto che con la
moglie non faceva sesso da mesi, era stato con una prostituta. E si
era beccato le piattole. Timidissimo, mi chiese se potevo comprargli
il Mom in farmacia. Lui si vergognava. Non solo, ma volle che fossi
io a passargli la polvere. Lo portai a casa mia. Lo feci spogliare
completamente. Misi sotto i suoi piedi dei giornali per evitare di
sporcare e lo cosparsi di Mom. Sì, lui mi piaceva e dovetti
trattenermi dal fargli delle avances. Mi accontentai, per “rispetto”
di accarezzarlo con la scusa di spargere meglio l'antipiattole. Lui
appariva inerme come un bambino. E mi lasciava fare. La storia si
ripeté fino alla completa scomparsa delle piattole. Con me, che pur
toccandolo dappertutto mi trattenevo dall'andare oltre.
A
distanza di molti mesi mi confessò che sì, si aspettava che io
andassi oltre. Che sì, avrebbe gradito la cosa.
Ma
vaffanculo.
Facevamo
entrambi parte del Partito Radicale. Era la fine degli anni settanta,
si raccoglievano le firme. Non ricordo esattamente per quali
referendum. Periodicamente proponevamo una raccolta di firme. Al
tavolino per la raccolta posto sotto i portici di via Ruggero Settimo
eravamo in parecchi. Lina mi propose di andare con lei. Non sapevo la
destinazione né lei mi disse nulla a riguardo. Comprò dei fiori,
rose rosse. Alla fine, arrivati davanti a una chiesa, mi invita ad
entrare. Pensavo scherzasse o volesse mostrarmi qualcosa di
particolare. Invece no. Quel giorno era dedicato a Santa Rita. La
santa dei miracoli impossibili. Lei era lì per partecipare alla
messa. E farsi benedire le rose che poi avrebbe appeso a testa in
giù per farle seccare. Alla fine le avrebbe riposte in un cassetto.
Lei uscì dalla chiesa felice, io pensavo a come certe tradizioni
tribali venivano tramandate.
Ho
un amico carissimo. Lo ammiro e rispetto qualsiasi cosa faccia.
Perché ho fiducia in lui. Non è perfetto. Forse rappresenta il caos
e la libertà coniugati insieme. Capace ad una cena in una trattoria
con amici di uscire per fumare una sigaretta e sparire. E tutti i
commensali guardandosi negli occhi, senza parlare, decidono di
dividersi la sua quota. Tempo fa abitava in una casa occupata.
Definirla casa è una parola grossa. Un posto dove viveva, suona
meglio. In alcune stanze mancava il tetto, e si vedeva il cielo. Il
posto era pieno di vasi di ogni genere. Da quelli di terracotta alle
bagnine di plastica. Vi coltivava canapa. L'odore si sentiva ovunque
e ti avvolgeva. Il suo piccolo commercio. Le piante erano splendide e
pronte al raccolto.
A
lui, senza mezzi di trasporto, basta andare in taverna. Lì, fra una
bevuta e l'altra, trova qualcuno che lo porta in auto anche
dall'altra parte della città.
Insopportabile
quando si presenta fatto. Diventa
troppo 'mpiccicusu.
Ti si attacca addosso
come bava, e
comincia a chiederti se gli vuoi bene. E parla, parla, parla... senza
freno. Con la bocca secca e
impastata, ma lui continua.
Poi chiede da bere acqua. Oppure vuole offerto
un
caffè. Nessuno di noi, quando è in questo stato, lo sopporta. Lo
trattiamo male, ma lui quasi non sente quello che gli diciamo.
Quando
è sobrio diventa una persona disponibile. Pronto a darti una mano
per qualsiasi cosa. O ti offre un giummiddu
da fumare. Ma non è per questo che parlo così di lui...
Però,
se mi leggi, anche se sono qui, non rifiuterei un tuo dono.