Quel calore che scioglieva le gambe.
La meraviglia.
La paura.
Quant'era bello!
La confusione.
Il peccato.
Perché dovevo provare quelle
sensazioni con il peso di un senso di colpa? Ma poi da dove è
uscito? Come ci sono arrivato? Lo dovrò dire al prete? Ma se dio mi
ha dato questa gioia, perché chiamarla opera del demonio. Era la
prima volta che eiaculavo.
Il primo disco 45 giri comprato. Lo
avevo giurato, se ci fosse stato un primo disco, quello non poteva
essere che loro. Raccolsi i soldi in attesa della nuova uscita. A
Palermo, in corso Vittorio Emanuele, dove alcuni decenni dopo nacque
Altroquando, c'era un piccolo negozio di dischi, gestito da
una donna di origini spagnole. Lì, proprio lì, decisi di comprare
il nuovo 45 giri dei Beatles con We can work it out e
Day Tripper.
I falsi amici. Ebbi presto le chiavi di
casa. Era un segnale che avevano fiducia nella mia capacità di
gestirle. Ma la vera conquista era uscire di casa la sera. Mi
bloccavano i “Dove vai? Con chi? Che fate? A che ora torni?”.
Insomma, le classiche domande dei genitori. Fra i quindici e i sedici
anni. Pur di uscire mi inventai degli amici falsi. Cioè, erano
persone reali, ma appena conoscenti, promosse ad amici di serate
passate al bowling. Bowling dov'ero stato una volta sola, peraltro di
giorno.
“ Esco, vado con dei compagni di
scuola a giocare al Bowling. Non farò tardissimo.”
Ma lo dicevo dal buio del corridoi per
nascondere alla loro vista il rossore che mi saliva in viso quando
dicevo bugie.
Il calcio. Anche io da piccolo ho
giocato cu palluni. Con alcuni compagni di scuola ci vedevamo
il pomeriggio in una traversa di via Archirafi. Una piccola strada.
Cercavamo dei sassi per delimitare le porte. Poi si formavano le
squadre. Non eravamo undici contro undici. Più spesso eravamo in
tutto sei, qualche volta otto. Stabilire chi doveva giocare con chi e
contro chi non era sempre facile deciderlo. Si cercava di equilibrare
le due squadre. Uno bravo e uno scarso. Alla pari. Poi c'erano i due
malcapitati che dovevano fare i portieri. Ruolo che nessuno, ma
proprio nessuno, nemmeno fra i più scarsi al gioco, aspirava a
coprire. Sudavamo come maiali. Daniele era il più pacchionello,
il più sudato e forse anche il più imbranato di tutti. Per
difendere il territorio - la nostra strada - da estranei invasori, si
organizzò una volta una pitruliata. La pitruliata era una
battaglia combattuta a distanza, tirandosi pietre. Non c'era un vero
corpo a corpo. Qualcuno ne poteva uscire con un bernoccolo, ma a
volte anche con delle ferite alla testa più o meno profonde. Mi
capitò di tornare a casa con un piccolo squarcio nel cuoio
capelluto. Lavai via il sangue e non dissi nulla a nessuno. In casa
non se ne accorsero. Per fortuna era solo un colpo di striscio. Ma
vuoi mettere? Avevamo messo in fuga gli invasori. Potevamo continuare
a giocare nel nostro campo. Ed io ero un eroe.
Il salotto del professore Piraino.
Boris ed io lo conoscemmo tramite amici comuni. Era un luogo
straordinario, e non solo per l'arredamento e il bellissimo terrazzo.
Lo andavamo a trovare spesso, praticamente tutte le sere. Su un
tavolo di legno grezzo, ci serviva il caffè. Si chiacchierava del
più e del meno, a volte sparlando qualche amico assente. Spesso, il
professore ci mostrava qualche nuovo pezzo della sua collezione di
abiti antichi. Aveva una stanza dedicata a questa sua passione. Vi
erano anche dei manichini. Non antichi quanto i vestiti, ma separati
comunque da poche generazioni. Uno di questi mi faceva impressione.
Indossava un vestito nero merlettato che mi trasmetteva come una
sensazione di morte. Il citofono della casa suonava di continuo.
Arrivavano sempre nuovi amici. Quando non c'era più posto attorno al
lungo tavolo, ci si divideva in gruppi distribuiti nelle varie
stanze. In casa tutte le porte erano aperte, compresa quella della
camera da letto. Rare volte capitò che la stanza fosse chiusa. Il
motivo era uno solo. Qualcuno, per lo più il padrone di casa, la
utilizzava per qualche incontro amoroso. Alle volte tutte le stanze,
tranne quella della collezione, erano occupate da gruppi di amici.
Diventava una specie di pub privato. Un viavai di persone, con
nascite di amicizie e inimicizie, amori o lassatine. Da
una stanza all'altra il contesto cambiava. Chi giocava a carte, chi
ascoltava musica, chi chiacchierava, chi si godeva il fresco nel
terrazzo vicino al profumatissimo gelsomino. Lì ho visto la
caffetteria moka più grande al mondo. Lea, il cane alano con un
carattere che la rendeva più simile al Pluto di Topolino.
E il salotto che tutti sogniamo.
Almeno io sì.
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