Mia
madre che cantava. Mi piaceva sentirla. Lo faceva spesso mentre si
dedicava alle pulizie di casa. Erano sempre canzoni d'amore. Fra
“Libero” e “Romantica”, canzoni di un secolo fa. Lei
sicuramente avrebbe scelto “Romantica”. Cantava andando spesso in
falsetto. Qualche volta stonava. Non si scoraggiava per questo. Alle
volte interrompeva il suo canto per urlarci un rimprovero. Amavo
sentirla cantare. Cantare. Alleggerisce l'anima durante una fatica.
Le
domeniche pomeriggio degli anni cinquanta. Quando mio padre e zù
Petru uscivano per ritornare carichi di scaccio. Un insieme di semi
di zucca tostati e salati, noccioline americane, ceci tostati,
castagne secche. Si aprivano i coppi con i diversi contenuti sul
tavolo da pranzo. Stavamo intorno al tavolo a mangiare lo scaccio.
Come combattevamo poi la sete? Non esisteva ancora da noi l'uso della
coca-cola. Quando andava bene, mezzo bicchiere di gazzosa. O
semplicemente acqua.
Il
primo viaggio a Roma. Primi anni sessanta. Big
era una rivista per giovani. Non ridete parliamo di cinquant'anni fa.
Leggevo sia Big che la rivista concorrente Ciao amici,
ma ero più affezionato alla prima che aveva lo stesso editore di
Men, altra rivista che compravo allora. Big organizzò
un incontro con i lettori a Roma. Con serata al Piper e un
incontro concerto con Equipe 84 e Rokers. Durata del
tutto un fine settimana. La cifrà non era altissima e riusci a
convincere mio padre.
Anche
se con un anno di ritardo, frequentavo la terza media. Sostenni gli
esami di riparazione e una volta promosso partii felicissimo verso i
miti giovanili.
Il
sogno rivelatore. Sognai una testa di bambola, con i capelli a
ciuffetti di certe bambole. Umidicci ma non attaccati fra loro. Io
sull'orlo di un burrone. Pronto a fare un passo in avanti. Sotto
consiglio di una psicologa chiesi timidamente a mio padre se fosse
successo qualcosa di particolare durante la mia nascita. Mi disse che
mia madre quando sono nato ha subito degli strappi. Cercai di
immaginare il dolore che dovette provare. Da allora una cicatrice è
stata impressa nella mia anima.
Zoe.
Arrivava in negozio sempre imbronciata. Magari fino ad un minuto
prima cantava insieme a Rita, la mamma. Appena entrava in negozio si
rimpiccioliva dentro la sua carrozzina e metteva il broncio. Io
iniziavo a provocarla in tutti i modi. Forse era questo che lei si
aspettava. Io davanti a questa piccola peste a fare il cretino. Piano
piano spuntava il sorriso che non poteva più trattenere. Usciva
dalla sua torre d'avorio e aveva inizio il gioco. O davanti al
computer a cantare Il Caffè della Peppina,
o a chiederci che verso facesse il coccodrillo. Alle volte, invece,
si giocava a rincorrerci correndo entrambi gattoni gattoni. Io a
cinquantasei anni contro una Zoe di appena due anni.
Nessun commento:
Posta un commento