Lo
sciopero della fame. Fatto contro una legge sulle droghe. Soprattutto
contro l'idea di equiparare consumatore e spacciatore. Lo facemmo in
piazza Duomo a Milano, durante il servizio civile. Dormendo in una
tenda montata da noi nella piazza. Per tre giorni digiunai dormendo
su una brandina. Una volta bastava questo a farci sentire vivi.
Anarchici.
Andavamo a tirare pietre al vento in montagna. Poi stanchi ci
riposavamo in un rifugio alpino. Bevendo e cantando, insieme a molti
presenti, canzoni socialiste e anarchiche. Ritornando un po' brilli
dai monti a Pisa. In città invece si sparse la voce che nel gruppo
anarchico fosse nata una frazione armata.
Noi non smentivamo nulla. Preferivamo lasciarli alle loro fantasie.
Tobia.
Il cane che viveva con il cappellano del carcere minorile di Milano.
Tobia era un barboncino, ma di taglia insolita. In continua ricerca
di cibo e di gambe sulle quali sfogare il suo istinto sessuale. Un
cane buonissimo per il resto. Amava giocare fuori dal carcere in
mezzo all'erbaccia. Alcuni ragazzi ospiti una sera hanno voluto
provare. Gli hanno voluto far inalare il fumo di una canna. Per
vedere l'effetto su Tobia. Per vederlo poi semplicemente barcollare
leggermente. Mettersi nella propria cuccia e guardarci con gli occhi
a pampinedda.
L'ago e il filo li presi
dalla scatola dove erano conservati i materiali per cucire. Avevo
sei, forse otto anni. Preparavo un vestitino per una piccola
bambolina. Avevo trovato la stoffa, mi serviva l'ago e il cotone.
Scelsi il colore del filo. Quello che più si avvcinava a quello del
pezzo di stoffa del vestitino. Mi sarebbero serviti anche dei bottoni
automatici, ma non li trovai. Presi l'unico ago nella scatola e mi
misi a sedere sulle scale del piano di sotto. Mentre ero sul più
bello del gioco, mia zia Concetta cominciò a chiamarmi. Aveva una
voce dal tono acuto. Spesso esaggerava e urlava in modo tale che
diventava una sirena. Non si capiva quello che diceva. Si sentiva un
urlo che cercava di modulare delle parola. Visto che i vari urli non
suscitavano alcuna mia risposta, mi minacciò di tirarmi il bastone
con il quale passava lo straccio. La minaccia si trasformò presto in
promessa e poi in atto reale. Al pronto soccorso mi diedero dei punti
in testa. Io avevo ragione, lei torto. Volli allora sfidare il primo
dolore. Mi ripromisi di sopportarlo in silenzio. Durante la cucitura
dei tre punti in testa.
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