Umberto
abitava vicino al negozio. Ultrasettantenne. Basso, tracagnotto.
Ancora un torello. Con un modo di chiacchierare incontenibile.
Spesso prendevamo il caffè insieme. Mi raccontava le sue
passate storie di camionista. Tutte al limite del credibile. Come il
vantarsi delle sue performance sessuali. Adesso passa raramente da
queste parti. Oggi è venuto a trovarmi. Sapeva già
tutto del mio stato. Adesso abbiamo qualcosa in comune. Anche lui ha
una colostomia, e da parecchio. Sbottonando la camicia e aprendo i
pantaloni, tutto baldanzoso, ha voluto mostrarmi il suo sacchetto.
Vantando il fatto che il suo è più grande del mio.
Naturalmente, nello stile di Umberto, con inevitabili allusioni al
sesso. Dice che ormai si è affezionato alla stomia. Non la
vuole tolta. Che il maneggiare le proprie feci non gli da fastidio.
All'inizio, come è successo anche a me, non riusciva nemmeno a
guardare la ferita. Adesso si è reso indipendente e fa tutto
lui. Mi comunica, inoltre, che ancora gli funziona. Parlandone
in terza persona e toccandosi.
“Non
fa più scintille, ma fa il suo dovere”
Insomma
due malati che si incontrano e condividono i loro problemi
quotidiani. Mi ripete più volte che deve andare a consulto dal
dottore che lo segue. Alla fine prima di andarsene ci siamo
abbracciati a lungo.
Come
dice il Budda: Quando sei accanto a una persona che soffre, e non
sai come consolarlo, basta appoggiare una mano sulla sua spalla. In
silenzio.
Noi
lo abbiamo fatto reciprocamente.
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