Con
il maestro Romeo ho fatto le prime tre classi elementari. Alle
successive due classi ne ho avuto un altro (che in quinta mi ha
bocciato). Mi sono ritrovato con Romeo nel ripetere quella classe.
Credo che avesse una certa simpatia nei miei confronto. Un giorno,
dopo una interrogazione mi mise un braccio sulla spalla. Io ero
imbarazzato da questo contatto non usuale. Poi con la mano cominciò
a toccare i capezzoli. Io mi andavo scansando, avvicinandomi sempre
più al muro. Lì era attaccata la cartina geografica
dell'Europa. A forza di spostarmi arrivai a far cadere la cartina.
Grande imbarazzo del maestro, nascosto da un sorriso. Io tornai al
mio banco rosso come il fuoco.
Alla
terza media nella mia stessa classe c'erano due fratelli. Nino e
Ignazio. Quest'ultimo era il più grande fra i due. Suonavano
entrambi il pianoforte. Qualche volta sono stato a casa loro e si
sono esibiti a suonare alternandosi al piano. Di solito Ignazio
durante le lezioni di lettere sedeva accanto a me. Questo per poter
seguire la lettura dall'antologia, che lui non aveva. Si leggevano
brani dall'Odissea. Durante la lettura, Ignazio cominciava a
spostarsi in modo da poter arrivare con il suo ginocchio fra le mie
cosce. Cominciava così un lungo strusciamento che durava per
tutta un'avventura di Ulisse. Naturalmente non ero di marmo. C'era
una certa collaborazione anche da parte mia. Noi, imprudenti,
facevano tutto questo lavorìo seduti al primo banco. Proprio
di fronte alla cattedra. Tanto che una volta il professore interruppe
la lettura per dirci:
“Voi
due, scostatevi un poco. E sedetevi meglio.”
Di
scatto ci siamo allontanati. Io naturalmente arrossendo. Poi fu come
se non fosse successo nulla. Quello strusciamento, fin dall'inizio,
esisteva finché veniva eseguito. Finito l'incanto, eravamo
pronti a negare che fosse mai successo.
Imbranato.
Nei confronti di Pino, mio fratello. Mi sentivo imbranato. Da piccolo
lui si costruiva il monopattino a rotelle. Mio padre gli portava le
ruote a pallini. Credo che si chiamassero così. Lui si
costruiva il suo giocattolo da solo. Da un falegname si faceva dare i
pezzi di legno necessari. Nel giro di poco tempo, inforcava il
monopattino e scorrazzava per la strada. Una volta si costruì
anche u carruzzuni. U carruzzuni era una specie di scatola di
legno munita di ruote. Ampia abbastanza da potersi sedere. Il
massimo, con questo mezzo, era percorrere una strada in discesa. E
lì, lanciare u carruzzuni a rotta di collo, esponendosi a
diversi pericoli. Non era difficile che la scatola si ribaltasse. Io
solo una volta ho voluto provare il monopattino. E mi sono fatto
male. Ho stretto i denti e non l'ho detto a nessuno.
Io
e Massimo cercavamo casa. Ad Amsterdam non era facile. Trovammo
questo buggigattolo che... ancora oggi, a distanza di moltissimi
anni, definie appartamento è un'esagerazione. Questo era il
modo di esprimersi di Massimo. Non diceva bugie, ma nemmeno la
verità. Al primo incontro, la padrona di casa volle la
conferma che sia io che Massimo fossimo omosessuali. Questo perché
lei non affittava la casa a persone etero, visto che a suo avviso i
gay erano soggetti molto più inclini a ordine e pulizia.
La
signora soffriva di profondo razzismo e non era cosciente.
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