Non so cosa sia successo. Sono andato via con la testa. Troppo fentanil, che è più potente della morfina. Quanto potente? Cento volte di più. Forse le due sostanze si sono incontrate e accumulate . Nessuno sa darmi spiegazioni. Nessuno. Tutti a preoccuparsi per me. Tutti a controllare che io fossi sveglio. Ricordo: l'incontro con una strana persona. Un'assemblea. Un gatto che girava su se stesso. Il nulla. Mi venivano in mente: l'immagine di mio fratello seduto sulla poltrona che c'è in camera. Mi parlavano anche Claudia e Filippo. Filippo che ho voluto abbracciare, che cercavo continuamente. Avrei voluto alzarmi. Ma tutti, compreso Giuseppe l'infermiere, anche lui presente nella stanza, si opponevano. Solo alle venti sono riuscito ad alzarmi. Ho mangiucchiato qualcosa. Mio fratello va via insieme a Filippo. Filippo per dare da mangiare a Giuggiola e Santino, i nostri due mici. Poi ritorna. Sempre accompagnato da Pino in macchina. Anche Claudia se ne torna a casa. Resto da solo con Filippo. Apro il Gohonzon. Faccio fatica a concludere la preghiera. Mi metto a scrivere queste note con continui flash. Non capisco se sono fatti realmente accaduti o sono cose che ho sognato in questi giorni. Interrompono la scrittura. Riprendo non riuscendo a capire del tutto. In fondo, questo mi ha spinto a fare cinque anni di analisi. Solo che adesso è diverso. Non mi fa più paura. Posso affrontarlo. Vivo battagliando continuamente. Se vinco o perdo è secondario. L'importante è come vivo questo. Io cerco di viverle da vero guerriero.
Palermo,
25 agosto 2013
Il
lungo sonno è l'ultimo capitolo che Salvatore, mio compagno di
vita per tredici anni, mi ha chiesto di rivedere prima che il veloce
progredire della malattia mettesse fine a questa avventura
letteraria. Un diario di vitalità e una testimonianza di dignità
che merita una conclusione, sia pure non scritta dal suo autore
principale.
Salvatore
nella sua vita è stato mille cose. Tutte diverse. Ma non si è mai
pianto addosso. Non più di cinque minuti, almeno. Non parlerò, per
questo, del suo rapido declino, ma di quella luce che fino all'ultimo
ha continuato a rischiarare quanti erano vicino a lui, nonostante la
fine del viaggio fosse ormai vicina. Con questo diario, Salvatore ha
mostrato a tutti il vero significato della parola resistenza, e
l'inarrestabile forza di una creatività che non si arrende neppure
davanti alla disfatta. Salvatore ha comunque vinto sulla malattia. Facendole
le boccacce, osservandola, e crescendo in umanità fino
all'ultimo giorno a dispetto di tutto. Guardandosi indietro, non
poteva essere che così. Una mente come la sua, un cuore come il suo,
che tanto hanno dato alla città di Palermo, vivono in queste pagine
come in ogni iniziativa presa in una vita vissuta intensamente come
pochi sono riusciti a fare.
Un
guerriero del quotidiano, e un uomo capace di suscitare esplosioni
artistiche in tutti coloro che lo avvicinavano, come un allegro contagio. Salvatore è stato
questo: un meraviglioso catalizzatore di vita. Ci auguriamo tutti che
continui a esserlo per quanti lo hanno conosciuto attraverso queste
pagine.
Saluto l'amore della mia vita, il mio migliore amico, con una delle più note poesie di Eugenio Montale. Parole appropriate per una persona immensa come lui.
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.