martedì 6 aprile 2010

Un attimo di meditazione




Mi sa di conforto e nostalgia. E poi la sua semplicità è disarmante. Acqua, sale, pastina, olio, formaggio grattugiato. La minestrina. Il mio amore iniziò a San Vito lo Capo. Dove i miei mi mandavano a passare tre mesi nella colonia estiva. Sotto falso nome. Lì, gustando delle lingue di passero in brodo sentii il mio corpo riscaldarsi. Come se ricevesse quell'abbraccio tanto desiderato.
Sì, le minestrine sono calde, corroboranti, qualche volta aromatiche, salutari, leggere, idratanti. Ma non le amo solo per questo. Hanno la liquidità legata all'infazia. La nostra alimentazione inizia con pappine, semolino, minestrine. E ogni cucchiaiata è un legame di affetto, un debito di riconoscenza.
Una volta cresciuto, i miei, non mi preparavano più minestrine. Eccezione era il semolino. Con solo due alternative o con i finocchietti selvatici o con i broccoli. Loro miravano al barocco e la pastina quando usata andava bene nei minestroni o in zuppe varie. Ma da sola no. Troppo povera, funzionale, essenziale. Bahaus contro barocco.
E loro palermitani veraci miravano a piatti elaborati. Con le sarde, con il sugo, con broccoli in tegame. Veri amanti del barocco.
Desiderare una semplice pastina era considerato un sintomo di malore. In famiglia la semplicità veniva considerata un caso di malattia. Come quella volta che in gelateria scelsi un gelato al limone e mia madre mi chiese se avessi mal di stomaco. Perchè un ragazzino, con tanti gusti a disposizione, non poteva scegliere il gelato più semplice e naturale.
Nella loro semplicità le minestrine hanno infinite varianti. Basta poco. Un poco di succo di limone. O un uovo e prezzemolo. E perché no, anche con un dado.
Puro slow food. Perché le devi dedicare tempo mentre la mangi. Richiede attenzione. Perché la minestrina é un tuffo in un abbraccio. Un attimo di meditazione.

Nessun commento: