venerdì 31 maggio 2013

Edificio 17A - Come le nuvole



Il mio fiore rosso ha la tendenza a prolassare. Nella situazione di stallo in cui mi trovo per tutto il resto, anche questa aspetto non poteva che adeguarsi. Non si può fare nulla, per adesso. Sì, ma qui tende a fuoriuscire tutto se non lo trattengo. Da fiore, come le nuvole, cambia forma. Un giorno sembrava un pene. Tutto ragringizito, troppo rosa, ma inconfondibilmente lui. Un altra volta sembrava un enorme verme. Per tenere a bada tutto questo uso una fasciatura. Alle volte non basta, e allora ci metto un pacchetto di sigarette, per tenere più ferma la parte.

Forse il mio fiore rosso si è un po' snaturato. Mi da più problemi. Anche se mi sorprende ancora quando si presenta come una rosa.

mercoledì 29 maggio 2013

Edificio 17A - Cose che ricordo del passato 27



Sergio aveva deciso di prendere un cucciolo di cane. Il nostro era il primo tentativo. Se non proprio una casa famiglia, una minicomunità. Tre ragazzi, io e un'altra persona a badare in qualche modo a loro. Sergio spuntò con il cucciolo. Era deciso a tenerlo. Un cucciolo! Sapete cosa vuol dire? Un produtttore di pipì e cacca. In notevole quantità. Giornali ovunque a tamponare tutta la piscia del canuzzo. E cacca sparsa.
Non c'ero entrato per parecchi giorni. La stanza di Sergio aveva la porta chiusa. Una mattina dovevo svegliarlo per andare a lavorare e ho visto il pavimento. Una scacchiera di cacca.
Ma come fai a starci? Non si può camminare senza pestarne una.”
Lui si alza dal letto e facendo una strana danza arriva davanti a me senza pestarne una. Poi, a riprova, mi fa vedere come fa a tornare indietro. Compreso il salto finale per atterrare sul letto.
Dovresti pulire...”
A parte un poco di puzza, così è più divertente.”


Abitavo in via Chiavetteri. Era Domenica, giornata libera dal lavoro. Io la dedicavo a fare le pulizie. Volevo spolverare un mobile alto. Salii su una sedia. Scivolai e caddi sulla mano sinistra. Sopratutto il mignolo. Il dolore mi accecò. Dovetti correre in bagno per vomitare. Presi una molletta e le tolsi la molla. Con i due pezzi fasciai il dito tenendolo dritto.
Il giorno dopo avendo ancora un forte dolore andai al Pronto Soccorso del Buccheri La Ferla.
Quando giunse il mio turno le persone che avrebbero dovuto soccorrermi parlavano di ferie. Mi fasciarono il dito con un occhio al calendario. Mi bloccarono il mignolo piegandolo. Dopo diversi giorni, continuando a sentire dolore, mi decisi ad andare da un ortopedico. Appena vide il dito mi disse che c'era un tendine spezzato e che mi dovevo operare subito. Mi sono operato. Il dito, anche dopo la fisioterapia, è rimasto piegato proprio come lo avevano medicato al Pronto Soccorso.
Potrò mai dimenticare quei discorsi sulle ferie?



Fine anni cinquanta. Abitavamo in uno stabile di corso dei Mille. L'appartamento era grande, ben cinque stanze più i servizi. Eravamo però due famiglie in una casa. Certo, ci stringevamo un poco. Mia nonna con i suoi cinque figli più noi... si arrivava a undici persone. Io dormivo in una stanza dove c'era un lettino ed un letto matrimoniale. Nel primo ci dormiva mio zio Nino. Nel secondo ci dormivamo in tre. Pino e mio zio Franco dormivano con me sdraiato ai loro piedi. Per me non era una sistemazione ideale. Nella stanza c'era un piccolo tavolino accostato al muro e tre sedie. Le sedie, la sera, venivano adoperate per appoggiare i vestiti. Questi vestiti al buio mutavano. Si trasformavano in mostri spaventosi pronti ad attaccarmi. La soluzione era quella scontata. Mettere la testa sotto il lenzuolo. Sopportando la puzza di piedi.

martedì 28 maggio 2013

Edificio 17A - Tutto in una notte



Sveglio.
Alle volte resto sveglio. Malgrado tutto ciò che prendo per dormire. Non mi sbatto la testa negli spigoli. Accendo il computer e... Bho... mi connetto?
La Giuggiola mi chiama dal fondo del corridoio. Lei, la mia gatta, vuole coccole. Cedo al suo richiamo e vado a trovarla. Poi ritorno a sedermi. Scrivo, o gioco con qualche foto con un programma di grafica. La sacca del catetere pesa . Sembra che debba svuotarla. Mi alzo, vado in bagno. Apro la valvola per scaricare l'urina.
Fatto.
...
Non si chiude. La valvola si è inceppata. Non si chiude. Devo cambiare tutta la sacca. Tenendo quella vecchia in modo che non goccioli per casa, vado a prenderne una nuova. La cambio, aggiusto la fettuccina che la regge. Mi siedo davanti al computer. Che stavo facendo prima? Non ricordo. Giuggiola mi chiama ancora dal fondo del corridoio.
Ah, ecco...
Giuggiola mi chiama ancora dal fondo del corridoio.
Sì, amo questa gatta. Ma non ci sono dei limiti? Quando diventa accettabile scoprirsi a pensare: “Ora la uccido”?
Vado nel corridoio. Lei è nella sua solita posizione che ricorda una divinità egizia. Il mio stupido scatto di rabbia mi spinge a darle un colpo di sacca. Quella che porto la sera per la nefrostomia. Il colpo a chi? Sì, indirizzato a lei, ma sbatte sul muro. Si rompe la valvola di scarico. Tutta l'urina per terra. Mi armo di straccio. Risciacquare e ripassare. La Giuggiola ha capito che non è la serata giusta, e si è andata a acquattare sul divano. Guardandomi con gli occhi sgranati quando passo. Amore.
Ora mi sento stanchino. Non vado nemmeno in cucina a prendermi qualcosa da bere. Per evitare la fatica, non per mancanza di sete. Per terra, vicino alla scrivania c'è qualcosa. Non la vedo bene. Mi sembra una foglia secca. Penso sia stato Santino, il micio più giovane, a portarla dentro. La scuoto con il piede.
Non era una foglia, ma vomito di gatto. Penso sempre a Santino. Sarà stato lui. Ma non ha importanza. Ora c'è da raccogliere e pulire. In cucina ci sono dovuto andare lo stesso. Visto che ero lì mi sono versato del succo di frutta con del ghiaccio. Poi ho notato che c'era ancora un goccio di rum dimenticato nella bottiglia. Buono.
Alle tre di notte ho spento tutto e sono andato dormire.


lunedì 27 maggio 2013

Edificio 17A - Cose che ricordo del passato 26


Ricordo perchè ho la foto.
Capelli bagnati, incontrollabili altrimenti. Lo sguardo di sfida ma impaurito. La maglietta a righe bianche e blu, che mi piaceva tanto. I pantaloncini con i bottoni grossi come quelli di Topolino. Le scarpe senza lacci e visibilmente vecchie. Diversi foruncoli evidenti sulle gambe. Io da piccolo. Ah, già quello che ho nella mano destra. Se non me li avessero dati questa foto non esisterebbe.

domenica 26 maggio 2013

Edificio 17A - Le istruzioni della scienza o della scienza delle istruzioni



Una delle medicine che prendo ha un dosaggio di 10 mg. Mentre ero ricoverato lo hanno cambiato portandolo da 10 a 15 mg. In ospedale però non avevano compresse da 5 mg da aggiungere alla terapia. Il medico mi consigliò di prenderne una e mezza, spezzandone una in due.
Fa lo stesso.” disse.
Parlando con il farmacista viene fuori che essendo il prodotto a rilascio prolungato, la pastiglia non dovrebbe essere spezzata.
Secondo me, cambia qualcosa.”

L'antidolorifico mi era stato presentato come una pillola da sciogliere in bocca. Un chupa-chupa. Senza nessuna indicazione sull'uso. Spesso non ottenevo l'effetto desiderato. Deve essere assorbito dalle mucose orali. Deve essere continuamente smosso e girato strofinando particolarmente sulle guance. Questo scoperto solo grazie a un'ovvia curiosità. Leggo sempre le istruzioni contenute nei bugiardini. Ora funziona meglio.

Sono portatore di catetere. Mi è stato messo nel mese di Marzo. Mi è stato cambiato ai primi di Aprile per un controllo. Da allora, nessuno mi ha detto quale “manutenzione” spetta al catetere. Perchè non lo chiedi ? Mi dicono tutti. Perchè devo essere IO a cercare le informazioni, le istruzioni... a pormi continuamente domande? Credo mi spetterebbe di essere informato adeguatamente, su tutto.
Oggi incontro Giuseppe, un amico che fa l'infermiere, e naturalmente parliamo della mia situazione. Arriviamo all'argomento catetere. Mi dice che sarebbe opportuno cambiarlo con più frequenza. Che lo porto da troppo tempo. Capisce la difficoltà che avrei nel doverlo fare. Si offre, gentilmente, di farlo lui. Ci siamo dati appunttamento a più tardi. Con una professionalità incredibile si è presentato munito non solo di guanti mono uso, ma con una cassettina da dove ha tirato fuori, a parte il catetere, tutto l'occorrente per l'operazione. Persino il telino verde per coprire la parte intorno al quale lavorava. Non ho sentito nulla di quello che mi aspettavo. Naturalmente non ho seguito quello che faceva.
E' ancora inguardabile.






sabato 25 maggio 2013

Edificio 17A - Cose che ricordo del passato 25




Eravamo partiti per Catania. Volevamo partecipare al Gay Pride che si svolgeva lì. Avevamo anche un nuovo numero di Woof!, la fanzine ideata da Filippo e dedicata agli orsi. Qualche nudo, ma niente di osceno. Con un fumetto ursino fatto dal nostro Perdido. Volevamo diffonderla durante la manifestazione. Eravamo appena arrivati sul luogo del raduno per la sfilata. In quel momento l'unica cosa alla quale puntavamo era un bar dove trovare dell'acqua fresca. Rinfrescati uscimmo dal bar. Appena fuori, un signore anziano con un ragazzino accanto mi chiede una copia di Woof!. Gli porgo una copia del giornalino. Lui sorridente mi dice:
E' per il mio nipotino”
No, non ho approfondito la cosa e sono andato via quatto quatto.


Alle acque calde... alle acque calde! Le acque calde sono una serie di pozze di fango sulfureo che si trovano vicino Alcamo. Non ci si andava solo per i benefici termali, ma anche perché spesso si facevano incontri. Sopratutto la sera, quando faceva buio. Quella volta ci andammo presto, era ancora giorno.Volevamo dare uno sguardo nei paraggi. Il posto ha un suo fascino. Decidemmo di risalire una gola con un fiume al centro. Arrivammo in un punto dove bisognava farsi un piccolo tratto di fiume nuotando. Appena due o tre bracciate per arrivare dall'altra parte. Pochissimi metri. Mi decido che ce la posso fare. Due, tre bracciate. Alla prima bracciata incontro in acqua una pecora che galleggia con la pancia gonfissima.



I Gatti Neri. Questo era il nome che avevano scelto per il loro gruppo muisicale. Uno di loro lavorava come cameriere nello stesso albergo dove lavoravo io. Hotel Kinzika di Pisa. Io li seguivo facendo il fotografo ufficiale. Nei backstage succedevano queste cose.
Una volta eravamo in un posto dove avevano montato un presepio enorme. Feci diverse foto ai vari personaggi. Cercando un qualche effetto particolare. Poi fui attratto dal velo sottilissimo e quasi trasparente che c'era dietro il presepe. Simulava il cielo. Per cercare un effetto flou, usando una forte luce diedi fuoco a tutto il cielo. Fortunatamente al solo cielo.
Un'altra volta siamo stati in un posto di montagna dove c'era la neve. E che fai non provi? Affittammo tutto il necessario. Bardati come provetti sciatori, ci avventurammo. Qualche passo. Riuscivo a fare qualche passo e poi cadevo. Ma non furono le cadute a farmi male. Fu un pattino venutomi addosso, puntando dritto dritto sul mio piede. Giornata sciistica conclusa. E anche tour musicale. Almeno per me..

venerdì 24 maggio 2013

Edificio 17A -Cose che ricordo del passato 24




Il primo capodanno passato ad Amsterdam non fu male. Eravamo a casa di Mario, un amico di Carlo. Preparò tutto il padrone di casa. Mario era un tipo precisino. Teneva la sua casa ch'era uno splendore. Trovava il tempo per aggiustarsi anche le sopraciglie, tirandosi i peli con una pinzetta. Naturalmente amava Liala, ed era un romanticone da morire. Aveva pensato a tutto lui per la serata. Dagli stuzzichini di vario genere ai festoni appesi da una parete all'altra. Invitati: naturalmente, solo uomini. Durante la serata, qualcuno faceva spegnere la luce. Per rendere l'ambiente... più intimo. Come se ce ne fosse stato bisogno.
Quella serata fu per me il primo capodanno in un ambiente finalmente accogliente.


Fra il carbone e il sanpietrino ricordo con piacere più il secondo che il primo. O forse il sanpietrino ha più storia. A Pisa lavoravo in un ristorante. Si cucinava su un piano di metallo riscaldato a carbone. Su questo piano si cucinava di tutto. Dal sugo alla pasta, ma anche bistecche. La riserva di carbone era in uno scantinato. Con una cesta si scendeva una breve scala. Si riempiva la cesta e si portava il carbone su. Questa operazione veniva fatta diverse volte in modo di avere una scorta sufficiente di carbone a portata di mano. Questo per tenere sempre caldo il piano cottura. Io ero il più piccolo di età, quindi, per una legge non scritta, spettava a me andarlo a prendere. Anche se in cucina avevo più responsabilità.
Fuori era un'altra storia. Non che utilizzassi tanti sanpietrini tanto quanto il carbone, ma il gesto e il senso erano sicuramente molto più alti.
Mi sarà capitato due o tre volte di tirare qualche sanpietrino, divelto facilmente dal pavimento stradale, e scagliato contro la polizia. Resta vivida la memoria del sasso in mano contro il potere. Il carbone no. Era il 1969.


Lui era estroso. Ma anche se io non dicevo nulla, mi faceva un po' impressione la sua collana. Ad Amsterdam il fine settimana eravamo soliti, io e Massimo, andare la sera insieme in un pub: il COC. Questo era affiliato ad una associazione che sosteneva i diritti delle persone omosessuali. Lui, Massimo, si agghindava in queste occasioni con una collana. La particolarità di questa collana stava nel suo ciondolo. Il teschio di un cane. Una volta mi raccontò la provenienza. Era un cagnolino che aveva in casa la sua famiglia. Dopo morto fu seppellito nel giardino adiacente alla casa. Un giorno, scavando, rispuntò. Lui lo prese, lo pulì e lo trasformò in una collana. Non era per niente bella. Ma attirava molto l'attenzione degli altri.



giovedì 23 maggio 2013

Edificio 17A - Il circo dei pazzi



Uso diversi - come chiamano tecnicamente - presidi. Sarebbero tutti gli ausili di cui ho bisogno. Base adesiva per la colostomia e relativi sacchetti. Sacche per la nefrostomia, sacca per il catetere, traverse per il letto e altro. Per avere queste cose dalla farmacia bisogna andare alla ASP ( Azienda Sanitaria Provinciale). Lunga fila, naturalmente. Una buona attesa fa sempre bene. Mi danno dei fogli da consegnare in farmacia per poter avere questi prodotti. Per tre mesi. Ogni mese devo presentare al farmacista le copie relative al mese in corso. Poi, passati i tre mesi, si ritorna alla ASP e tutto ricomincia.
Porto la richiesta per la prima fornitura. Il farmacista mi dice che una parte non potrà farmela avere perché nei moduli hanno sbagliato i conti. Non so bene..
Si torna alla ASP. Loro dicono che non c'è nessun errore, e che per i prodotti scelti la tariffa è superiore.
Non chiedete spiegazioni. Mi sono rassegnato. E' un circo di pazzi fra i quali devo barcamenarmi. Molte cose mi sembrano assurde, ma per questo mondo sono normali.
Nel frattempo ho dovuto ricoverarmi di nuovo. Un intervallo. Adesso che sono di nuovo fuori, il probelma si ripresenta con la nuova fornitura. Il farmacista mi dice che è stato alla ASP è gli hanno detto che le tariffe sono uniche e che c'è effettivamente un errore nei conti.
Però devo andarci IO per far fare le correzioni...
Dopo l'intervento di un'amica che lavora all'ASP sembra si sia tutto risolto. Ripeto. Dopo l'intervento di un'amica che lavora all'ASP sembra si sia tutto risolto.

mercoledì 22 maggio 2013

Edificio 17A - Cose che ricordo del passato 23




A Milano, durante il servizio civile, frequentavo una scuola serale. Li conobbi il professore di matematica più simpatico mai conosciuto. Nell'intervallo qualche volta si metteva davanti a un pianoforte che si trovava in un'aula e suonava, divertendo tutti e divertendosi un mondo. Le sue lezioni erano affascinanti. Geometria e algebra sembravano più comprensibili. Nella stessa scuola conobbi un ragazzo che vendeva acidi. Io ero quello incaricato dal gruppo di rifornirci. Ne prendevamo tanti, ma naturalmente non li assumevamo tutte in una sera. Di solito la serata LSD era quella del Sabato. Per il semplice motivi che in ogni caso avevamo la giornata della domenica per poterlo smaltire completamente.
Le pastiglie erano di colore viola e a forma di piramide. Il giorno dopo ci salivano dei rigurgiti che avevano il sapore delle viole. La sera prima era più difficile dire di preciso cosa fosse successo. Per lo più restavano sensazioni che portavano ad una sorta di misticismo. O ad una sua ricerca. Fra i tre fissi del gruppo - ma ogni tanto si aggiungeva qualche altro - io ero quello più razionale. Riuscivo a camminare in equilibrio fra il qui e il là. Per qualcuno significava non volersi lasciare andare del tutto. Ma io dovevo esserci, non volevo perdere il controllo. Paolo partiva in quarta e andava via, ma se lo richiamavo, lui c'era. Giulio ero il tipo perso, l'esatto contrario di me. Lui, che voleva partecipare alla discussione fra me e Paolo su quale strada fare per tornare a casa. Appena gli è stato chiesto il parere ha cominciato ad avvolgersi in una spirale di dubbi. Mancava poco e ci avrebbe coinvolto nelle sue paranoie. Lui, che davanti alla difficoltà ad aprire il portone di casa comincia a tirare fuori la storia di un complotto per non farci aprire il portone in modo da ritardare il ritorno a casa. Lui, che si presentò nudo al tavolo al quale sedevamo io e Paolo e... pisciò. Una lunghissima innaffiata. Poi soddisfatto ritornò a letto. Ecco questo è un tipo perso.
Io mi vivevo Milano, con le tante sfaccettature del mio essere lì.


Quando da piccolo scontavo la colonia estiva, i miei venivano a farmi visita la Domenica. Non tutte le settimane, ma quasi. Venivano carichi di pasta al forno, parmigiana e cotolette. Tutto cucinato da mia madre. Si mangiava e si restava insieme fino al primo pomeriggio. Dopo averci lasciato qualche regalino - per lo più cibarie varie - ripartivano. Lì mi si chiudeva il cuore, completamente al buio. La Domenica sera era tristissima. Un primo approccio alla comprensione della nostalgia.


Mio padre comprava ogni settimana La Domenica del Corriere. Una delle poche riviste che giravano per casa. Ero affascinato dalle copertine di Walter Molino che illustravano l'evento della settimana. Lo sfogliavo quando andavo in bagno. Come facevo anche con il Sorrisi e Canzoni. Ogni settimana pubblicava i testi di sei o sette canzoni. Scorrevo l'elenco per vedere se c'era qualche canzone che conoscessi. Se c'era, mi mettevo a cantare felice, seduto sul water.

martedì 21 maggio 2013

Edificio 17A - Il giorno degli esami


Oggi giornata di consulti. Uno con l'ematologo, l'altro con l'oncologo. Essendo nella lettera di dimissioni indicati con quest'ordine, mi convinco che il primo appuntamento è per le 8:30 di mattina e l'altra alle 12:30. Faccio la visita con l'ematologo. Visti i risultati delle analisi cliniche siamo bloccati alla casella di partenza. Quasi con vergogna, il dottore mi dice che forse è il caso di fare analizzare i vetrini con il mio midollo osseo a Bologna. La spedizione la devo fare io. Non esiste un canale tra ospedale e ospedale...
No comment.
Visto che l'altro appuntamento è alle 12:30, ho il tempo di sbrigare anche un'altra faccenda. Oltre un mese fa ho richiesto la cartella clinica del mio periodo trascorso a Chirurgia Oncologica. Sembra non ci siano molte persone, mi metto a turno, ma le cose vanno per le lunghe. Vado a informarmi dove devo fare la visita oncologica. Facile, no? Indicazioni: Medicina Oncologica, Edificio 16, Edificio 17C, Edificio 17B, terzo piano... è quella giusta. L'oncologo riceve e mi metto a turno. Non sono nemmeno le undici.
La prima cosa che mi chiede l'oncologo:
Ha la relazione dell'ematologo?”
(Fermiamoci un attimo. Dunque, io ho invertito le visite, così facendo pensavo di sbagliare, invece era la cosa corretta da fare. Io quando ci penso vado in tilt.)
Mi dà le stesse risposte del collega. Dobbiamo aspettare l'esito che ci arriverà da Bologna. Controllare la sideremia. Per quanto riguardo il dolore, all'occasione, di chupa-chupa oppiacei metterne in bocca due contemporaneamente.
Parlando con un infermiera, di un altro caso... spero, le dice che per le sue decisioni lei, oncologa, si giocava il “culetto”. Non poteva fare iniziare una terapia ad una persona a rischio.
Va bene, aspettiamo l'esito di Bologna e lei si faccia insieme agli altri esami. Anche la sideremia. Se risulta bassa, prenda Sideral forte. In bocca al lupo.”
A quanti cazzo di lupi ho dovuto augurare di crepare si è perso il conto. Ed io non odio i lupi. C'è logica? In verità anche in tutto il resto non mi sembra ce ne sia molta.
Naturalmente è andata buca anche per il ritiro della cartella clinica.
Sì... prendo un appunto... la cercheremo meglio... l'ultimo numero del nostro telefono è nove... No, la chiamiamo noi.”
Arrivederci e grazie.

domenica 19 maggio 2013

Edificio 17A - Cose che ricordo del passato 22



Santo, il figlio del maresciallo Piazzese, mi dava lezioni d'inglese. In una caldissima estate in una veranda. Con dibattiti sulla pronuncia. Io ascoltavo attentamente la pronuncia dei Beatles. Quella ripetevo, quella era corretta. Invece lui sosteneva di no. Lui aveva studiato. Io ero alle prime armi. Qualche volta chinavo il capo e accettavo la sua versione. Qualche volta.


In casa c'era uno stanzino. Utilizzato come ripostiglio. C'era anche un tavolino con tre, quattro sedie. E tutt'intorno scatole di scarpe, detersivi, secchi e stracci. Noi bambini, lì, ci giocavamo. Costruivamo mondi con tante avventure. La finestrella diventava l'oblò del razzo sul quale volavamo verso un altro pianeta. O c'era il battesimo di una qualche nuova bambolina, vestita per l'occasione con un abitino di tulle fatto da noi. La fantasia non mancava.


Oggi le cose sono cambiate, ma quando Franco Battiato eseguì il suo “Zà” al Punto Rosso non c'erano le folle oceaniche. Franco venne ospite a casa mia insieme al maestro Giusto Pio e consorte. Mia madre e mio padre erano, come al solito, a New York da mia sorella. Io ne approfittai per ospitare i musicisti. Così nel loro letto dormirono violinista e moglie. Franco si adattò a dormire sul divano letto. Siamo stati insieme quasi tre giorni. La cosa che più mi colpì furono le sue conversazioni e l'unico, ossessivo argomento: la musica. Non parlò altro che di musica. Fino alla nausea.


Come si aprivano le cinquecento? Con una chiavetta, utilizzata per aprire la carne in scatola. Con la stessa si avviava il motore. Cose imparate dai ragazzi del carcere minorile di Milano. Gianfranco, un altro obiettore di coscienza, era partito ed aveva lasciato la sua cinquecento. Una sera la tentazione fu enorme, mi procurai la chiavetta, e andai a farmi un giro per Milano. Con una certa ansia. Ma il giro lo feci.


Con un ingranditore per foto di scarsa qualità mi dilettavo a stampare foto in bianco e nero. Lavoravo nel ristorante Il Rustico fra Migliarino Pisano e Viareggio. Io e un altro cuoco abitavamo in un appartamento messo a disposizione dal ristorante. Nella mia stanza impressionavo la carta fotografica e sviluppavo. Mettevo un disco di Tenco e lo usavo come cronometro. I risultati non erano esaltanti ma mi piaceva questa cosa misteriosa di vedere emergere una foto da un foglio di carta bianca. Poi, visti i risultati, decisi era meglio fermarsi lì.





sabato 18 maggio 2013

Edificio 17A - Cose che ricordo del passato 21


La bancarella di via Cavour. Quando la sera rientravo a casa, davo sempre una sbirciatina ai volumi esposti. L'acquisto di almeno un volume era assicurato. Lì comprai diversi volumi di Freud editi dalla Boringhieri. Alcuni volumi di poesie di Prevert, Withman, Blake. Per non parlare dei romanzi di fantascienza. La Bancarella era per me come l'ultimo spazio di libertà prima del rientro. Contavo prima i soldi, per essere sicuro di poter pagare il volume scelto. Dopo mi piaceva scartarlo, sfogliare il libro e odorarlo. Alle volte iniziavo a leggere il libro per strada. Approfittando della luce dei lampioni.

Appena arrivato ad Amsterdam iniziai subito a lavorare. Grazie ad una agenzia di collocamento. Il lavoro consisteva nello stare davanti ad una macchina da pressa e staccare il pezzo stampato. Non ricordo se si lavorasse sette ore, compreso il tempo per due pausa caffè. Scoprii abbastanza presto che non ero il solo che ogni tanto si lasciava sfuggire un pezzo difettato. Le due pausa caffè avevano orari diversi. Una di dieci minuti, l'altra di quindici. Il lavoro di per sé non era faticoso, ma decisamente alienante. Si arrivava a fine turno completamenti rintronati. Unico desiderio: pulire la mente con il silenzio.

I ricordi di un altro diventano anche i miei. Sopratutto quando l'altro era Boris. E il ricordo veniva raccontato spesso. Ogni volta con atteggiamento diverso. Dalla rabbia alle lacrime, all'ironia, ma sempre con un pizzico di nostalgia. Alle volte la versione si allungava e venivano fuori piccoli particolari insignificanti Il colore di uno scialle non aggiungeva gran che al racconto. La storia si svolse nei primi anni del 1930. I genitori di Boris avevano comprato dell'olio nuovo. Per saggiarne la bontà, sua madre propose di friggerci un uovo e darlo da mangiare al bambino. Il bambino sentì e capì. L'uovo non arrivò mai, ma la ferita e la sensazione che volessero usarlo come cavia per un esperimento non andarono più via.

Da un'idea mia e di Roberto Lo Sciuto, idea alla quale si associarono successivamente Franco, Benny e Maurizio nacque il Punto Rosso. Il locale era quello precedentemente occupato dalla Locanda degli Elfi. Storico gruppo teatrale palermitano. Il Punto Rosso era la somma di tante cose messe insieme. Era una piccola distribuzione di riviste e libri. Era un minicentro di documentazione che raccoglieva vari documenti sul movimento, dai beatniks a Lotta Continua, dal materiale anarchico a Re nudo. Avevamo lo spazio per fare piccoli concerti. Abbiamo fatto una serie di concerti dedicati alla nuova musica con Kamisaska, Francesco Messina, Franco Battiato. Andati economicamente male. Successivamente abbiamo fatto un concerto con Alfredo Cohen. Questo fu l'unico evento organizzato da noi andato in pareggio. E fu un successone. Con due repliche in più non previste.

venerdì 17 maggio 2013

Edificio 17A – Fatto!



Quella che ho è una malattia fatta di cattivi pensieri. Di lacrime trattenute. Di impotenza. Ma la scommessa è non cedere. Non cedere è non lasciarsi andare. Non cedere è stare mezz'ora disteso sul letto, prima di mettere in atto la decisione di alzarsi e andare in negozio. Mentalmente avevo organizzato tutto. Pensavo: mi sciacquo la faccia, controllo i vari sacchetti che porto addosso, mi vesto e poi scendo. Farlo è stato un po' più difficile. Ma l'ho fatto. Ci sono ancora. Affronto i nuovi doveri verso il mio corpo come piccole battaglie. Piccole battaglie che, se vinte, allontanano i cattivi pensieri.

giovedì 16 maggio 2013

Edificio 17A - Cose che ricordo del passato 20






Francesco abitava vicino al mio appartamento in via Chiavettieri. Condividevamo gli svantaggi e le piccole gioie dello stare soli. Andavamo il sabato sera all'Exit. Non tanto per rimorchiare. Almeno così sosteneva. Perché allora?
Per vedere le solite facce e potersene poi lamentare.”
Non era molto espansivo, Francesco, so che covava un suo dolore personale. Un veleno difficile da eliminare. Ma lui non ci provava nemmeno. Quindi mi faceva parlare e parlare di me per serate intere. Ogni tanto aveva delle battute fulminanti. Mi sarebbe piaciuto tanto trascriverle. Mi ha fatto conoscere Tori Amos e riscoprire Kate Bush. Fra noi due generazioni diverse. Mind the gap. Attenzione al vuoto. Il nostro vissuto era così diverso... sembravamo sbarcati da pianeti differenti. Il nostro vivere l'omosessualità. Io ho dovuto lottare per un minimo di riconoscimento. Lui per nuovi diritti. Io notavo in lui un certo romanticismo d'altri tempi. Lui vedeva in me un libertino amorale. Rimanendo amici.
Col tempo ci siamo persi. Ognuno di noi due è tornato sul proprio pianeta d'origine. Ogni tanto mi capita di alzare gli occhi al cielo e pensare a lui. Incredibilmente in modo affettuoso. Mi manca Francesco...

Mia nonna Barbara era una giocatrice incallita. La sua passione era il gioco del lotto. A quel tempo l'estrazione avveniva solo di Sabato. I numeri della giocata venivano scritti a mano, con una grafia svolazzante. Lei, durante la settimana, smurfiava i numeri da giocare. Nati da un sogno o da un avvenimento particolare. A volte faceva la cresta sulla spesa, pur di racimolare i soldi per le sue giocate. Nessuno sapeva bene quanto giocasse. Nascondeva le cartelle nelle profondità delle sue tasche. Una giocata fissa era il terno 5- 6- 80. Lo giocò per diversi anni senza mai interrompere la tradizione. Ogni tanto vinceva qualcosa. Alla sua morte, per diversi mesi mi accollai la tradizione. Poi smisi. Non avevo avuto risultati incoraggianti.

mercoledì 15 maggio 2013

Edificio 17A – La battaglia serale



Una nottata fra voglia di dormire e dolori. Mi ero messo a letto. Dopo aver preso un Actiq, un antidolorifico. Il chupa-chupa di cui ho già scritto. Ho una fortissima sonnolenza. Appena disteso si risvegliano i dolori lungo le cosce, fino ai talloni. Questo mi impedisce di riposare.
Mi alzo, barcollando. La battaglia continua anche in piedi. Non riesco a reggermi a causa dei dolori alle gambe. Gli occhi mi si chiudono da soli. Mi seggo davanti al computer. Gli scontri continuano. Da seduto, però, i dolori li gestisco meglio. Il sonno comincia a prendere il sopravvento. Poi una piccola vittoria. Il capo mi si china e per un attimo dormo. Quando riapro gli occhi fatico a riconocere gli oggetti sulla scrivania.
Provo ancora a mettermi a letto. Con scarso risultato. Tutto dolorante vado in cucina. Crema di nocciole e un bicchiere di latte freddo. Ritorno davanti al computer. Aspettando che la pillola di Actiq faccia effetto. Ma l'impressione è che non avesse nessuna voglia di funzionare.
Alla fine il sonno ha prevalso. Mi metto a letto e finalmente mi addormentai. Sono le due di notte. Mi aspettavo di alzarmi distrutto. Invece mi sono svegliato con una grande arsura. Mi muovo più agevolmente di ieri. La dormita più soddisfacente è stata questa mattina fra le otto e le undici. Ho dormito profondamente. Piccoli passi indietro... piccoli passi avanti.
Poi sono sceso in negozio. Dove ormai mi sento estraneo.

martedì 14 maggio 2013

Edificio 17A -Cose che ricordo del passato 19



La colonia estiva passata con un'identità falsa. Pur di mandarmi per tre mesi in colonia mi ci mandarono con il nome di un altro bambino. Francesco La Mattina. Non solo. In questa colonia, che si trovava a San Vito lo Capo, curavano non so quale malattia degli occhi. Quindi io, che non avevo nessun disturbo, mi dovevo curare lo stesso. Solo così potevo usufruire della colonia. Falsa identità, falsa malattia. La mattina e la sera, tutti in fila indiana per ricevere delle gocce o della pomata negli occhi. Quest'ultima non la sopportavo. Per diversi minuti la vista si appannava. Aprivo e chiudevo le palpebre per cercare di eliminare la pomata. Bei ricordi. Veramente.


Quando Marianna e Valeria erano piccole, la Domenica, portavo loro Il Corriere dei Piccoli. In quel periodo questo settimanale, già in crisi, metteva in ogni numero un gadget. Io portavo la rivista in dono nella speranza di trasmettere loro il piacere della lettura dei fumetti. Ma le due ragazzine erano più interessate al regalino allegato. Spesso nemmeno sfogliavano il corrierino e si catapultavano subito sulla sorpresa della settimana. Non sapevo come comportarmi, quindi continuai a portare il Corriere dei Piccoli anche se credo che non lo lessero mai. Maledicendo certe scelte editoriali senza futuro per la lettura.

Durante il servizio civile ho abitato a Milano, in uno di quei classici appartamenti da ringhiera. In via De Castillia. Trovavo orribile che ci fosse un solo gabinetto alla turca per tutto il piano. Io avevo grosse difficoltà ad utilizzarlo. Schifato riuscivo solo a urinare. Inoltre in casa non c'era modo di lavarsi se non nel lavandino utilizzato per i piatti. Un giorno sì e un giorno no andavo al Diurno vicino la Stazione Centrale. Il diurno era in una galleria sotto il piano stradale. Nella stessa galleria c'era un cinema. Accanto alla cassa c'erano dei cartelli con su scritto “Allontanatevi. Non si accettano reclami”.

L'insegnante di inglese nella base Nato vicino Amsterdam. Ci si frequentava da un paio di mesi.
Quando avevo il giorno libero dal lavoro lo andavo a trovare nel paesino dove abitava. La cena era sempre la stessa. Bistecca enorme con patate fritte e panini sofficissimi. Il tutto era rigorosamente surgelato. Una volta gli dissi se era possibile cambiare menù. Si offese come se avessi sputato sulla bandiera americana 

lunedì 13 maggio 2013

Edificio 17A – Piccoli gesti





Il fatto che sia uscito dall'ospedale non vuol dire che vada tutto bene. Vuol dire solo che sono a casa. Tutto regolare. Anche le sviste.Mi leggo la lettera di dimissioni. Trovo alcune date per due visite a Giugno. La terapia manca di qualcosa. Prima di trovare il numero di telefono giusto ho dovuto fare diversi tentativi. Alla fine mi risponde una dottoressa. Anche lei trova poco chiaro il tutto.
“Ritelefoni fra un'ora a questo numero, troverà il dottore che ha scritto le dimissioni.”
Dopo un'ora richiamo.
Sì, effetivamente c'era un errore nella data per il controllo. Sì, aggiunga la Selepararina perchè è stata saltata.”
Non è il caso di incazzarsi. Si sfidano i dolori. Mi sono dato una pulita, mi sono vestito e sono uscito. Sono andato in negozio. Un gesto di resistenza.

domenica 12 maggio 2013

Edificio 17A - Cose che ricordo del passato 18




Cinque anni di analisi di gruppo, con un consistente lavoro dentro di me. Anche osservando gli altri componenti del gruppo. Si entra in terapia, di solito, per una profonda ferita nell'anima, ancora aperta e sanguinante. Spesso si tende a pensare che sarà cancellata. Non funziona così. La ferita resterà sempre lì. Rimarginata, non più sanguinante. Solo una cicatrice, ma sarà lì. Ogni tanto può dare fastidio. Non sparirà del tutto. Sarà sempre lì.

Mio zio Agostino, chiamato da molti u monaco. Da piccolo per devozione, vestirono il bimbo con un abito monastico. Da lì il sopranome che gli rimase per tutta la vita. Lavorava presso le ferrovie svizzere. Tornava a casa due, tre volte l'anno. Portava dei regali anche a noi bambini. Una macchinina di latta, riproduzione di un'auto di lusso. La scimietta alla quale si dava la corda e suonava i piatti. Il gattino con una pallina fra le zampe che correva e poi girava su se stesso. Tutti giocattoli portati per noi, ma con i quali potemmo giocare pochissimo. La loro inevitabile fine era quella di essere esposti in una vetrinetta come oggetti da collezione.

Ci avevano presentati come se non ci conoscessimo. Anche se qualche particolare lo avevo dimenticato, la nostra conoscenza era più profonda di quanto io pensassi. Avevamo scelto di vederci una sera davanti a una birra. Lui giocava con me, perché aveva più memoria. Io lo trovavo affascinante e non riuscivo a staccare i miei occhi dal suo viso. Ricordavo come il destino giocò con noi, per non farci incontrare. Per diversi anni. Lui si divertiva con i vuoti nella mia memoria. Contraddicendo ciò che io sostenevo. La serata fu deludente. Trattato da giocattolo. Al quale si può anche chiedere:
Ma tu avresti intenzione di venire a letto con me?”
In verità, sì”
Te lo puoi scordare. Non succederà mai.”
Si può dire di no.
Si può rifiutare.
E' il modo che uccide.

Chiusi il volume. Fissai il soffitto senza certezze. L'uomo nell'alto castello, di Philiph Dick.
Mi chiedevo cosa fosse falso e cosa fosse reale. Mi sentii come se fra me e quello che i miei occhi vedevano là fuori c'era una forma di distanza. Tutto poteva aveva la caratteristica del vero e nello stesso tempo poteva essere falso. Nessuna versione era più convincente dell'altra. Se non sono impazzito allora, non impazzirò più.

Edificio 17A – Come Alice


Alice attraversava lo specchio per trovarsi in un mondo diverso. A me basta un normale portone, attraversato il quale si distinguono un dentro e un fuori. Dentro: situazioni da incubo, che turbano l'equilibrio psichico. Un luogo dove voci e persone si impossessano della mia testa, quasi a violare il rifugio della mia ultima intimità. Sono a casa e non riesco a liberarmi ancora del loro cicaleccio. Molto fastidioso, spero passi presto. Fuori... Com'è fuori? Se poi sono fuori... non lo so. Potrei parlarvi del tragitto in auto. Con mio fratello che non fa mai le strade percorse da tutti. Si infila per vicoli, forse accorciando o semplicemente per evitare il traffico. Questo ho visto del... fuori. Ma c'è anche un altro fuori: la Vucciria. Mi sono appena affacciato al balcone. Proprio sotto la mia stanza da letto hanno montato un ombrellone e si intravedono piastre per arrostire. Il dentro avrà avuto le sue pecche e qualche mancanza. Questo fuori, invece, è esilarante. Un sindaco che emana una delibera che proibisce il commercio ambulante, ottenendo come risultato la crescita di nuove attività ambulanti. 

sabato 11 maggio 2013

Edificio 17A – Esami


Mi hanno fatto diversi esami. I risultati? Non sempre ho chiaro il senso di quello che mi dicono. Non perché siano vaghi, ma perché spesso scivolano in un linguaggio tecnico. Dovrei bloccarli ad ogni parola per farmene spiegare il senso. L'unica cosa che ho capito è che il mio cuore se la cava abbastanza bene. Ieri mi hanno fatto una tac di simulazione. Simulazione... me lo sono immaginato io a che serviva. Non sapevo che mi avrebbero tatuato tre piccoli puntini su parti diverse del corpo. Serviranno a prendere la mira per la radioterapia. Detta così non mi sembra una cosa bella, ma questa è scienza.
Forse domani esco. Sulla tarda mattinata. Tornare a casa. Non posso nemmeno dire alla mia vita quotidiana. Mi dovrò inventare nuovi ritmi che scandiscano la giornata.

venerdì 10 maggio 2013

Edificio 17A – Visite


                                         Foto S.Ade
    

Oggi doppia visita. Ambedue graditissime. Prima Vittorio, che mi presentava il quadro di questa città sfatta e morente, a cui noi tutti abbiamo fatto l'abitudine. Ci si guardava dritti negli occhi. Vittorio è come me, gli piace guardarti dritto negli occhi. Non per spiare, ma per condividere. I suoi bellissimi occhi. Che sanno di rivolta e d'amore. Con una barba alla quale cambia spesso taglio, una continua evoluzione. Quasi una ricerca continua, o il non volersi cristallizzare.
Se Luca fosse venuto solo non si sarebbe perso. Invece no, è venuto con Davide. Chi è Davide? Ne ho parlato tempo fa, indicandolo come oloturia o maestro. Davide, quello che finge che lo chiamiamo Davidù. Ecco... lui. Si sono persi lungo il corridoio. Abbraccio con Luca, come da promessa. Bacio sul collo compreso, per la gelosia di Davide (che ha sottolineato la durata dell'abbraccio). Sono contento di aver rivisto Luca, anche se per poco, e soprattutto senza un piatto di pasta con l'anciova davanti a noi.                                

Edificio 17A – Giornate uggiose


Certe giornate uggiose non aiutano. Come non aiuta una parola fuori luogo. Non aiuta il sentirsi solo. La cosa che aiuta meno è che devo contare su di me. Esclusivamente su me stesso. A volte non trovo nemmeno la forza di camminare o di resistere. Mi verrebbe voglia di abbandonarmi. Non pensare più, lasciarsi andare, non sforzarmi più. Come dormire, come…
Non fare così, devi resistere. Certe cose non le devi nemmeno pensare. Tirati su, non lasciarti andare.”
Ma cosa ne sanno? Hanno mai provato? Facile, dal proprio stato di buona salute, dare consigli scontati. Lo trovo quasi offensivo e mi deprimono ancora di più, questi inutili incoraggiamenti.
Le rondini oggi volano basse. Segno di pioggia imminente. Il sole oggi starà nascosto.
Forse, domani lo rivedremo.
Forse.

giovedì 9 maggio 2013

Edificio 17A – Megere



Il signor Pappalardo. Un magrissimo ultraottantenne. Grossi problemi di respirazione. Ma il suo problema più grosso sembra essere avere una moglie e una figlia che si occupano di lui. Quando le sue donne sono presenti aumento il volume della musica nelle cuffiette. Non sopporto di sentirle. Giocano con questo poveruomo come se fosse la loro bambolina. Ti spoglio e ti rivesto. Si annoiano, e tornano a giocare ancora con la bambola. Dai, un giro sulla sedia a rotelle. Lui fa segno di no con la testa. Cerca di far capire che non ha le forze.
Tutti gli altri passeggiano. Perché tu no?”
Le due donne – madre e figlia a giorni alterni - lo caricano quasi di peso sulla sedia a rotelle. Non la sanno nemmeno manovrare. Forse pensavano fosse una carrozzella per bambole. Il signor Pappalardo mi guarda. Non capisco se si trattava di una richiesta d'aiuto o un semplice sguardo perso nel vuoto. In ogni caso trovavo quello sguardo inquietante. Ogni tanto mi chiede l'ora. Cerca di parlare, con quel tono molto rauco , ma si capisce poco di quello che dice. Solo con moglie e figlia evitava di parlare. Lo stretto necessario, spesso urlato con rabbia. Di frequente il suo braccio destro si alzava per mandare a quel paese le due megere.

Edificio 17A – In bocca al lupo, Jalal


Eravamo arrivati ad un accordo. Lui mi stava lontano quando ero davanti al computer. Per il resto potevamo essere amici. Gli passavo le mie verdure o ci scambiavamo i piatti. Lui, musulmano, naturalmente non mangia maiale. Per diverse sere gli hanno portato lo spezzatino di maiale o fette di prosciutto crudo. Io gli passavo quello che potevo delle mie cose. Adesso facevamo anche passeggiate piacevoli lungo il corridoio. Oggi gli hanno comunicato che essendo migliorato lo dimetteranno presto. Lui è entrato in panico, esattamente come me. La medesima emozione: voglia di restare e paura di tornare a casa. Come gestirsi la terapia? Chi cucina? E se mi sentissi male? Proviamo le stesse emozioni. Ho cercato di spiegargli in cosa consisteva la terapia che gli hanno scritto. Due volte, per essere sicuro che avesse capito. Gli ho parlato della Samot, che fornisce assistenza gratuita. Della possibilità di avere l'esenzione dal ticket sui medicinali. L'ho spinto a fare fagotto per andare via. Era restio a lasciare il suo letto. Alla fine si è deciso a preparare le classiche cose che ci portiamo dietro noi ricoverati. Ha voluto il mio numero di telefono e mi ha lasciato il suo. Fra un po' diventerò il telefono amico degli ex-ricoverati. Abbracci e poi ancora abbracci. Poi un ultimo abbraccio, giusto perché ci siamo incontrati all'uscita. Ciao Jalal.

mercoledì 8 maggio 2013

Edificio 17A – Una rosa è una rosa






Il mio intraprendente fiore rosso comincia a mostrarmi vie e interpretazioni. Mi spaventa e poi mi affascina. La mia creatura. Quante pene dovrò superare affinché un gesto d'amore si manifesti?
Vi offro un accenno di macelleria. Il mio fiore rosso ogni giorno sboccia sempre di più. Questa mattina ho avuto la visione di un grosso verme che usciva dal mio lato sinistro. Somigliava ai vermoni del film Dune. Ho pulito, asciugato e messo la sacca. Poi mi sono sdraiato sul letto a massaggiare la parte per farla rientrare. Infine ho fatto la solita fasciatura. Dopo pranzo, piccolo infortunio che mi costringe a cambiare di nuovo la sacca. Guardo e vedo tutto il suo amore svelato. Mi si è mostrato come una rosa. Una rosa rossa con leggere venature bluastre. Una rosa, per me. La mia creatura sboccia per me. 

Edificio 17A – Quello a destra


Non so se ho scelto o sono stato scelto. O semplicemente doveva accadere. Lui sempre disponibile. Non se la tira come quell'altro a sinistra. Che mi fa pure i dispetti. Questa mattina era aperto. Appena mi sono avvicinato si è chiuso. Quello a destra non lo farebbe mai. Statisticamente (il tempo per ragionare sui dati non mi manca), l'ottanta per cento delle volte, il più accessibile, il più veloce, è quello a destra. A qualunque piano mi trovi. Io e l'ascensore di destra abbiamo sviluppato un'intesa quasi amichevole. Sto esagerando? Comincio a dare i numeri? Certo, sapere che il corpo basso che vedo dalla finestra della mia stanza, ospita chi ha bisogno di pronto soccorso psichiatrico, mi turba un po'. Non vorrei finire là. Non vorrei essere fra quelle sagome scure che si intravedono la sera dietro quelle finestre con le sbarre A volte si muovono, altre sono immobili. Cento storie fanno una danza macabra nella mia testa. Miserie, orrori e sofferenza. I miei mostri sono sempre peggiori di quelli reali.
Sono sicuro che se vado di là, l'ascensore di destra sarà al piano. Pronto ad aiutarmi. Perché ormai siamo amici.

Edificio 17A - Cose che ricordo del passato 17






Boris era una persona straordinaria. Con lui, una passeggiata era tutta una scoperta.
Un giro in macchina: una storia da raccontare.
Vedi quella pianta? Quello è il sommacco.”
Da lì partiva con la storia del padre che faceva la raccolta. O meglio, la faceva fare ad altri. Il padre dava loro qualcosina. Dal sommacco si estraevano tannini usati nella concia delle pelli. La stessa pianta veniva messa nei pollai per allontanare i pidocchi delle galline. I frutti sono velenosi
Tranne che di fumetti, con Boris potevi parlare di tutto. E sapeva raccontare storie bellissime. All'inizio degli anni cinquanta era iscritto al PCI. In un paese, Camporeale, sotto il dominio dei mafiosi. Non era facile. Spesso mi raccontava degli episodi, paragonabili, con i dovuti distinguo, alla Resistenza. Le ricordava, spesso con le lacrime agli occhi, quelle battaglie fatte insieme ai contadini. Poi uscì dal PCI, dopo l'invasione dell'Ungheria da parte dell'URSS.
Che fosse ateo è dir poco. Ogni volta che in TV appariva il papa, partiva tutta una serie di insulti. Quando è morto, le persone a lui vicino decisero di portarlo in chiesa con messa e benedizione finale. Troppo incazzato, me ne sono andato subito.


Per diversi anni, Rosuccia, figlia di mio zio Sarino, passava l'estate da noi. Io frequentavo ancora la scuola media. I suoi vivevano a Genova. Lei era la nipote preferita da mia madre. Questo alle volte mi procurava gelosia. Ma tutto sommato, con Rosuccia avevamo un bel rapporto. Di pomeriggio mia madre buttava una coperta per terra e tutti e due dormivamo insieme. Poi Rosuccia con gli anni venne sostituita dalla sorella Antonella. Anche lei passava i mesi estivi con noi.


Potevo avere sei anni quando salivo su uno sgabello per mettere i dischi. Il mobiletto radio aveva un coperchio che nascondeva il piatto per i dischi. Questi erano ancora i vecchi settantotto giri. La puntina era molto simile ad un chiodo. La scelta era ridotta. Nilla Pizzi, Maria Paris, Claudio Villa e Paul Anka con la sua Diana e pochi altri. Maria Paris era quella che mi faceva più simpatia. I dischi erano ancora fragili, una caduta per terra ed era la fine. Poi arrivò la valigetta giradischi dove si potevano ascoltare i 45 giri. Uno dei primi fu uno con in copertina una ragazza di colore seduta su una sedia in modo provocante. Per molto tempo pensai che Milva fosse una ragazza di colore. La canzone era “Le rififi


Il canadese, cacciato via dalla casa di un amico che abitava un piano sotto l'appartamento di Carlo. Ad Amsterdam ci sono palazzi di tre o quattro piani. In ogni piano spesso c'è un solo appartamento. Dove abitavamo noi la casa era composta da un unico vano con servizio e doccia. In quel periodo convivevo con Carlo. Il canadese era un bell'uomo che mi fece subito simpatia. Ci si frequentò per il breve periodo che passò ad Amsterdam. Poi, per lavoro, dovette andare a Dussendolf. Da lì mi fece avere un biglietto per un volo di andata e ritorno per andarlo a trovare. Non aveva assolutamente problemi di soldi. Li spendeva con una facilità incredibile. Ci scrivevamo e lui ogni tanto mi mandava un assegno. Anche, a distanza di anni, quando ero già tornato a Palermo.

L'amico di cui scrivevo sopra, noi lo chiamavamo la zia acida. Un tipo ossessivo. La casa sempre pulitissima e guai a spostare un qualsiasi oggetto. Naturalmente vietava tassativamente di fumare. Lavorava come steward nella compagnia aerea KLM. Integrato totalmente nel mondo olandese. Rifiutava di essere italiano. Ed evitava a parte Carlo e me, gli altri italiani. Quando faceva qualche incontro, se scopriva che l'altro era italiano lo mollava. Così su due piedi. Una vera zia acida.

martedì 7 maggio 2013

Edificio 17A – Lotta continua


Combatto su tre fronti diversi. Colostomia, nefrostomia, sacca per il catetere. La mattina, per prima cosa, svuoto il sacchetto della nefrostomia. Anche oggi seguo la solita routine, ma non appena finito mi accorgo che il pavimento è bagnato. La busta del catetere perde. L'orlo del pantalone del pigiama è inzuppato di urina. Magnifico! Buongiorno. Non lasciamoci scoraggiare. Sono appena le sei. Più tardi, mio fratello porterà della biancheria pulita e mi potrò cambiare. Sostituisco il sacchetto del catetere. Quindi passo a occuparmi della colostomia. Pulitura, nuova busta. A questo punto mi sdraio sul letto per far rientrare il mio fiore rosso. Mentre sono sdraiato, si apre la valvola di scarico della nefrostomia. Altra pioggia d'oro. Questa volta si bagna la parte alta dei pantaloni. Pazienza. Aiutato da Jalal, che mi guarda con occhi compassionevoli, leghiamo la fascia di garza per trattenere il fiore. Mi siedo e provo a scrivere qualcosa. Poco dopo sento i pantaloni di nuovo umidi. Lo so, lo erano già, ma questa volta in un punto diverso. Vado in bagno. Mi sbatterei la testa al muro: non avevo chiuso bene la sacca del catetere. E siamo solo alle nove del mattino. Chissà quante altre emozioni mi riserverà questo sabato di Maggio...



Edificio 17A - Cose che ricordo del passato 16





Fu una cosa platonica. Ma non platonica come è intesa comunemente. Basso, grasso, pelato, con pochi capelli bianchi sulla nuca. Occhi azzurri e sempre sorridente. Era il sagrestano della chiesa dei Decollati. Ho messo un sacco di tempo a capire il termine decollato. Quando lo capii mi sembrò una cosa macabra. Come trovavo macabra la teca con le fiamme dell'inferno. Quelle povere figure immerse in un mare di lingue di fuoco.
Il sagrestano teneva pulita la chiesa. Assisteva il prete, e affittava le sedie quando le panche erano tutte occupate. Durante la funzione religiosa, lui sedeva in fondo, vicino all'entrata.
Una volta mi invitò a sedermi sulle sue gambe. La posizione mi parve comoda.


Durante una manifestazione a Milano, nel 1972, partecipai ad uno dei tanti cortei che si svolgevano in quegli anni. Facevo parte del F.U.O.R.I. e con altri compagni andammo portando un piccolo striscione. Era norma, per il nostro collettivo, accodarci agli autonomi. Erano il gruppo con il quale sentivamo un legame più stretto. Durante il corteo vidi per terra un volantino. Come sempre, la prima cosa che facevo in questi casi era guardare da chi fosse firmato. Brigate Rosse.
Lo piegai e lo misi in tasca. Arrivato a casa lo lessi. Era uno dei tanti scritti deliranti, che naturalmente non condividevo. Lo conservai lo stesso come documento di quegli anni. Conservavo spesso il materiale prodotto dall'estrema sinistra. Dai giornali ai volantini. Poi nel 1977 ci fu una fortissima repressione. Mi prese la paura che se quel volantino mi fosse stato trovato in casa avrei potuto passare dei guai. Lo buttai via. Ma con un po' di dispiacere.



Soldi e preghiere. Intorno ai tredici anni. Frequentavo una chiesa vicino casa. La Domenica ci andavo per partecipare alla messa. Prima mi confessavo per prendere la comunione. Il prete alla fine mi diceva di dire un tot di preghiere. Ma mi chiedeva anche una offerta in soldi per la chiesa. Già allora pensavo fosse una richiesta assurda. Non è detto che un ragazzino potesse aver dei soldi da offrire. La richiesta del prete di donare dei soldi era costante. Da questo cominciò la demolizione della mia fede.


Mimmo il barbiere. Frequentavo ancora la scuola elementare. Di mattina andavo a scuola, di pomeriggio andavo a lavorare da Mimmo. Dove lavorava anche mio zio Franco. Ci andavo anche la Domenica. L'attività avrebbe dovuto chiudere alle 13,00 invece a quell'ora si abbassava la saracinesca e si continuava a lavorare. Alle volte fino alle cinque di pomeriggio. Intorno l'ora di pranzo andavo a casa mangiavo e poi ritornavo con un piatto di pasta coperto da un altro piatto e legato con una mappina. Appena arrivavo mio zio si mangiava la pasta nel retrobottega.


Eutanasia. Lilli, la mia cagnolina. Cedutami da Boris perché, sosteneva, che non poteva più badare a lei. Con Lilli vivevamo quasi in simbiosi. Lei amava me, ed io lei. Stava sempre con me anche quando ero in negozio. Poi successe l'irreparabile. Un avvelenamento probabilmente aveva mangiato un veleno per topi. Feci l'impossibile per aiutarla. Ad un certo punto le partirono i reni e non c'era nulla da fare. Trasportai quel piccolo corpicino da un veterinaio all'altro niente nessuna speranza. Come si usa dire bisognava abbatterla. Il veterinaio le fece una puntura. Lei mi cercava con gli occhi. Non riusci a sostenerlo quello sguardo. Piangevo ma non riuscivo a guardarla. Mi allontanai. Cosa che ancora oggi se ci penso mi causa un dolore profondissimo. Non solo, a distanza di tantissimi anni, non riesco a perdonarmi